La stanchezza emotiva e la guerra. Il disagio psicologico degli adulti
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Ci sono una quantità di studi che dimostrano le conseguenze sulla salute mentale delle persone direttamente esposte per lunghi periodi alla violenza della guerra.

Nel 2017 l’OMS aveva pubblicato un documento nel quale affermava che l’Ucraina dopo l’inizio della guerra in Crimea nel 2014 era il paese europeo con il più alto tasso di disturbi depressivi connessi allo stress post-traumatico.

Sono invece molto meno gli studi sulle popolazioni che osservano a distanza la guerra con le sue devastazioni, le persone in fuga e la morte. Sappiamo però che il bombardamento di notizie e di immagini angoscianti che passano attraverso i media insieme all’idea, per nulla fantastica di un possibile sviluppo del conflitto su scala mondiale e del rischio dell’utilizzo di armi atomiche, possono scatenare stati profondi di angoscia e di depressione.

Lo smarrimento per la perdita di prospettiva e l’orrore per ciò che vediamo compiere, ci assalgono rapidamente, perché eventi così incomprensibili e insostenibili per la nostra mente, ci fanno provare la sensazione di non poter esercitare alcun controllo su di essi.

Di fronte a pericoli così gravi e inevitabili, senza strumenti per la fuga e la salvezza, è come se l’individuo e le sue strutture cerebrali andassero in tilt. Come se il cervello, per difendersi, si ponesse in uno stato di inattività percettiva, motoria ed emotiva.

Questa risposta maladattiva e non funzionale viene chiamata “stanchezza emotiva”, derivata dallo stress e dall’esaurimento delle energie, è molto vicina alla sindrome da Burnout che è logorio psico-fisico ed emotivo.

È la sensazione di aver perso risorse mentali che si manifesta come un persistente stato di allarme simile a quello con cui siamo transitati dai mortiferi scenari della pandemia ai non meno pesanti giorni della guerra.

Così quel sentirsi svuotati e senza forze, incapaci di reagire alle situazioni, è un evidente e acuto malessere, un misto di rabbia e disperazione, di disgusto e ansia indefinibile che appesantisce e fa sentire stanchi, ma di una stanchezza che non si risolve con una “buona dormita”, come si potrebbe pensare.

Si tratta invece di uno stato di disagio che oltre alle tipiche manifestazioni psicosomatiche aggiunge una consistente alterazione dell’umore e un profondo sentimento di solitudine che aggrava la situazione.

Con l’idea di poter uscire da questa situazione, chi si trova in tale condizione psicologica, spesso cerca una soluzione tranquillizzante con il consumo di quantità eccessive di notizie.

L’infodemia oggi, è già un fenomeno di per sé preoccupante, incrementato dall’uso continuo dei dispositivi digitali e ora dal pericoloso “Doomscrolling”. Un recente neologismo inglese, coniato durante la pandemia, che mette in rilievo la tendenza diffusa e compulsiva a consumare o “scrollare” sul proprio device notizie drammatiche e immagini di sventure fin dal primo risveglio.

Per la stanchezza emotiva si tratta invece di mettere un freno a tale abitudine. Non solo ai bambini e agli adolescenti, ma anche agli adulti serve contenere l’esposizione a notizie terrificanti, così come è utile per tutti ridurre in questo periodo il tempo di connessione alla rete. Soprattutto c’è la necessità di evitare la pericolosa dissociazione sociale e mantenere integri e vivi i propri rapporti di amicizia e di scambio che sostengono e favoriscono la resilienza.

Credit immagine: “w:it:Aurora_Mazzoldi”, Wikimedia Commons

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