Medicina tra arte e tecnologia
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Trovare un rifugio sicuro, un riparo dalle intemperie, curare le ferite con erbe o la saliva, utilizzare la corteccia di china per la febbre, sono da sempre le risposte alle primordiali necessità e all’istinto (fisico e psichico) degli esseri viventi di conservazione della specie.

Quello che era solo puro istinto si è trasformato, nell’uomo contemporaneo, in ricerca della qualità della vita.

La medicina tradizionale, o allopatica, nasce da quell’istinto e agisce in maniera sintomatica, utilizzando sostanze diverse per patologie diverse: curare il sintomo con principi contrari al sintomo stesso. La medicina omeopatica, al contrario, vuole curare l’intero organismo con un intervento terapeutico individualizzato in funzione delle specifiche caratteristiche del paziente, tenendo conto contemporaneamente della parte fisica e di quella psicologica.

L’omeopatia come “medicina alternativa” è, per i medici omeopatici, la ricerca migliore, ma per autorevoli esponenti della medicina tradizionale, è equiparabile alle pratiche di maghi e fattucchiere.

L’uomo da sempre ha contrapposto la razionalità alla irrazionalità delle scelte, quasi avesse bisogno di cercare altrove risposte che non riesce a trovare.

Così la psicologia ha trovato un omologo opposto nella parapsicologia, l’astronomia nell’astrologia, la medicina tradizionale in quella alternativa (in tutte le sue declinazioni).

Nell’uomo contemporaneo le componenti psicologiche, morali e sociali sono diventate trascurabili. La medicina tradizionale è diventata tecnicistica, il medico tecnocrate. L’avanzamento delle tecniche diagnostiche e il miglioramento delle terapie, hanno tracciato un solco profondo tra medico e ammalato. Così la diffidenza del paziente verso la medicina moderna e il sorgere di altre medicine, hanno origine dalla spersonalizzazione che ha annullato ogni rapporto emotivo, ogni curiosità che porti alla necessaria attenzione per trarre conclusioni diagnostiche e terapie personalizzate.

L’ ”umanitas” è stata spiazzata dal tecnicismo. Il concetto della medicina, sintetizzato nell’ “observatio et ratio”, vuole la malattia come un evento naturale. Il concetto di universo perfetto, teorizzato da Aristotele, è stato soppiantato da quello di equilibrio instabile, precario. I fondamentali della natura sono imprevedibili, spesso irreversibili.

L’incessante ed incalzante rapidità del progresso tecnologico, ha sottratto tempo ad una serena riflessione in un’arte che si fonda sull’armonioso equilibrio tra componente scientifico-tecnica ed umana.

Lo sviluppo della tecnologia in medicina ha portato ad un progressivo ed inesorabile distacco tra il medico e i bisogni del malato; tutto ciò si traduce in una crescente diffidenza che spesso diventa sfiducia.

Il paziente chiede innanzitutto ascolto e attenzione. E’ la prima grande prova che il medico è chiamato ad affrontare: se il suo atteggiamento non è di disponibilità all’ascolto, se il suo sguardo non mostra interesse ma, al contrario, è distratto e superficiale, ogni fase successiva dell’approccio risulterà difficile e il traguardo della diagnosi e della guarigione, sempre più lontano. È proprio nei momenti di estremo bisogno, come in quelli della malattia, ci aggrappiamo a qualunque cosa che abbia per noi l’aspetto della speranza.

 Nella comunicazione la anamnesi gioca un ruolo essenziale: si dà voce al paziente, ascolto alle sue paure. Si apre un canale di comunicazione che, se ben gestito, renderà solido il rapporto di fiducia medico-paziente:  

empatia è sintonia.

 La scienza non può tutto. Spesso le sue risposte sono di dolorosa impotenza, ma non per questo, coloro che della scienza sono i naturali custodi, ancora prima di essere medici, non possono sottrarsi a quello che il loro primo dovere: essere uomini.

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