Ninna nanna. Un lusso dei tempi di pace
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Il senno di prima

Dedicato alle bambine e bambini dell’Ucraina, dell’Africa 
e di ogni luogo devastato dagli orrori delle guerre
A loro viene tolto tutto ciò che di buono e bello
dovrebbero ricevere per natura e per diritto,
compreso un sonno sereno accanto 
ai loro genitori.

Pochi mesi fa sono diventato il felice nonno di Olivia.  Ammetto che non è una notizia da prima pagina ma per me è stato un evento epocale che mi ha toccato in profondità costringendomi tra l’altro a rivedere alcune vecchie abitudini per adattarle alla nuova arrivata. O almeno era quello che mi aspettavo.

Per prima cosa ero certo di avere ottenuto uno scatto di carriera nelle gerarchie familiari. Da vecchio marito e padre a nonno nuovo di zecca uno si aspetta un salto nella considerazione dei familiari, non fosse altro perché, si è sempre detto, i bambini amano la compagnia dei nonni. Almeno finché sono piccoli. Per di più potevo essere di qualche utilità alle donne della famiglia, madre e nonne, per alleviare in piccola parte il grande carico di lavoro che comporta l’arrivo di un neonato. 

Cute little baby sleeping in the hammock with a lot clouds made of cotton wool

Conoscendomi come amante di fiabe e favole, ritenevo che avrei potuto stare vicino a Olivia nel momento dell’addormentamento. Mi ero già preparato un programmino di presenza accanto alla piccola subito dopo una delle numerose poppate, quando Olivia ormai sazia è incline a chiudere gli occhi e la mamma può occuparsi di altro nella certezza che la bambina è in buone mani, le mie. 

Avevo già preparato il setting: la stanza in penombra e ben aerata, una sedia per me a fianco della culla, una playlist di ninne nanne riprodotte a bassissimo volume. Setting, playlist e tra poco body guard sono termini inglesi che uso per convincervi che sono all’altezza dei tempi.  Il tutto, luci soffuse e sottofondo musicale, avrebbe creato nella stanza un’atmosfera da night senza le implicazioni peccaminose di un locale notturno.

Il tocco magistrale sarebbe stato la presenza, sdraiato accanto a me di Brandy, lo splendido golden retriever di casa, autonominatosi body guard di Olivia, con cui ho un rapporto di complicità. Adora che io lo massaggi dietro le orecchie e sapendo che, come Olivia, quando è sazio tende ad addormentarsi, ogni tanto gli passo qualche pezzo di pane secco. Satollo e massaggiato mi avrebbe fatto compagnia con il suo tranquillo ronfare.

Una volta sistemato il tutto avrei dato sfogo alla mia fantasia raccontando, mantenendo la voce bassa e lievemente cantilenante, storie adatte alla tenera età della creatura. Niente fiabe e favole classiche, niente registrazioni e tantomeno videoregistrazioni, niente letture, ma solo trasmissione orale di quanto il cuore e la mente mi avrebbero suggerito.

Devo dirvi che ho notato una certa diffidenza attorno al mio programmino da parte dei miei cari. Al momento non ho ancora ricevuto l’autorizzazione a sperimentarlo. Credo che qualche sospetto sia sorto in loro leggendo quanto ho scritto anni fa in un mio libro (L’antispocchia, Milano, Bompiani, 2015). Eccone un estratto per documentarvi sulla nascita di un pregiudizio.

Quando, molti anni fa, sono diventato padre, il mio bambino ha dovuto ascoltarmi per mesi di seguito mentre mugolavo, accompagnandomi con la chitarra, Summertime, convinto com’ero che il testo trasmettesse al pupo valori importanti quanto If di Kipling. Per dimostrare il suo avvenuto accesso al simbolico, dopo la trentesima esecuzione del capolavoro di Gershwin, era sufficiente che io entrassi in camera con la chitarra, perché mio figlio piombasse in un sonno profondo, o fingesse di farlo. Nei casi di ostinata renitenza al sonno, funzionava bene anche la lettura dei testi delle mie conferenze, una pratica che però ho interrotto presto perché mi sembrava più punitiva che tranquillizzante.

In molti incontri con amici sono venuto a conoscenza di altri episodi di accanimento narrativo paterno. Un’abitudine più maschile che femminile perché le mamme, come dice la parola stessa, sono più materne, restie a tentare esperimenti non collaudati e favorevoli alle tradizionali ninne nanne.

Uno di questi padri sosteneva che fosse suo figlio a costringerlo a cantare ogni sera Banana Boat alla maniera di Belafonte. Un altro riferì che la sua bambina si addormentava al canto sommesso di Bandiera rossa giurando che serrava anche il pugnetto sinistro. Il papà non nascondeva il suo sdegno per aver dovuto cambiare repertorio dopo l’intervento delle educatrici della scuola materna che avevano segnalato la precoce politicizzazione della piccina, soprattutto in occasione del riposino pomeridiano. A due gemelline furono somministrate dosi massicce di brani d’opera, compreso un controproducente Nessun dorma a bocca chiusa che pare avesse il potere di far cadere le creature in catalessi seduta stante e all’unisono.

Altri poveri innocenti, stando alle testimonianze raccolte, hanno preferito addormentarsi piuttosto che ascoltare ispirate Ave Maria nella duplice versione di Gounod e di Schubert, riesumazioni di canzoni sempreverdi la più recente delle quali pare fosse una straziante interpretazione di Torna piccina mia, torna dal tuo papà…, canti anarchici, canti di lavoro delle mondine, blues considerati deprimenti anche da uno schiavo nero dell’Alabama, gospel, marce militari, canti gregoriani e perfino un’intera cerimonia di iniziazione navajo con padre solista nei panni dello sciamano e madre alle percussioni con sonagli e tamburi acquistati per pochi dollari insieme a specchietti e collanine durante il viaggio di nozze in Arizona.

Malgrado tutto questo, quei bambini sono rimasti legati ai genitori e ai nonni, grati per il tempo serale loro dedicato. Questo dimostra che ciò che più conta è avere accanto al letto, prima di dormire, non la tv o una fiaba registrata ma qualcuno in carne e ossa che ci vuole bene e fa quello che può per farcelo sapere.

Come vorrei fare io con il programmino sopra descritto per accompagnare Olivia al sonno. Se, quando pronuncerà le prime parole,  confonderà ‘nonno’ con ‘sonno’ non mi offenderò anzi lo considererò un successo.

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