Non si può morire di bullismo
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Non è più tollerabile che si muoia di bullismo e cyberbullismo. Alessandro di Gragnano aveva 13 anni ed è l’ultima vittima di questo fenomeno devastante, di cui si parla tanto ma solo quando accadono le tragedie e si fa poco per prevenirlo.

Se ne parla per una necessaria cronaca, per far conoscere gli elementi che lo hanno determinato o mostrare i possibili colpevoli e le motivazioni che li “armano”. Ma nel cyberbullismo non ci sono armi concrete. Ci sono, minacce, prese in giro e offese che uccidono come proiettili. La prima vittima italiana che si tolse la vita nel 2013, Carolina Picchio, lasciò scritto su un biglietto: “Le parole fanno più mal delle botte”.

Nonostante questa frase lapidaria e accusatoria, le “narrazioni” spesso rimangono in superfice e non conducono alle riflessioni necessaire per capire e prevenire. Meno ancora se ne parla con i ragazzi, coetanei e non, per aiutarli a far uscire ciò che sentono e quello che pensano. Emozioni e sentimenti rimangono blindati dentro.Del dramma di un coetaneo bullizzato si evita di sollecitare a immaginare cosa può aver provato la vittima o quali pensieri avevano i carnefici.

Agli occhi degli adulti sembrano pericolose queste conversazioni, quando invece servirebbe molto e soprattutto ascoltare, in silenzio, senza risposte.Un po’ ovunque, del resto, gli adolescenti che vivono le angherie dei bulli o le assistono, tacciono e la violenza reale o virtuale rimane nascosta, apparentemente lontana, rimossa.Il cyberbullismo ancora di più perché è sottile, invisibile, fatto di parole affilate come lame, di calunnie inimmaginabili che tagliano e tolgono poco a poco fiducia e autostima, isolano la vittima e la lasciano sola nella sua tortura.

È un “gioco” terribile il bullismo online che affolla chat e social, dove tutti vedono e sentono, guardano e sanno ma non dicono. Dà colpi mortali benché siano verbi e parole, ma colpiscono duro perché eliminano la sicurezza e affossano la voglia di vivere.Il bullismo virtuale non è più la presa in giro dei “ragazzacci” di un tempo, quando in classe ti ridicolizzavano per lo spasso di quei venti compagni.

Adesso online ti umiliano davanti a cento, mille o diecimila persone che ridono e questo ti fa sentire inadeguato, incapace, orrendo. Quel “Fai schifo!” o “Ucciditi” “Muori subito!”, non lo puoi trascurare. Ti abbatte. Perché è la vergogna e il senso di fallimento che ti prende ogni energia vitale. Allora non basta dire, come ho sentito da qualche esperto di adolescenza, che ne fanno le conseguenze i più vulnerabili e bisogna aiutare i più fragili, perché non è vero.

La fragilità oggi sta ovunque e il disagio è una diffusa zona grigia. Per salvare le possibili vittime di domani non servono solo le punizioni di oggi. C’è un urgente bisogno di prevenire, educare e educarci all’uso delle parole e al rispetto. Serve molto dopo queste tragedie lasciare ogni volta un tempo all’ascolto delle emozioni dei bambini e degli adolescenti e spazio alle narrazioni delle loro esperienze.

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