Selfie I ragazzi si guardano allo specchio
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6.119 fra ragazzi e ragazze della provincia di Varese hanno partecipato al progetto Selfie e ci hanno raccontato come stanno. Il 58% dei ragazzi intervistati per esempio ha dichiarato di essere, o essere stato in terapia da uno psicologo o ancora il 30% degli studenti delle superiori dichiarano di essersi procurati dolore fisico volontariamente. Ma dobbiamo andare oltre i numeri e metterci in ascolto perché: «Credo che se gli adulti ascoltassero con più attenzione la voce dei ragazzi avremmo una scuola diversa e una società migliore»,

Selfie è un progetto del “Centro Semi di Melo” proposto nelle scuole del territorio dell’ASST Sette Laghi dal Servizio di Prevenzione e Cura delle Dipendenze (Ser.D.), con la collaborazione dell’Ufficio Scolastico Provinciale di Varese, del Comune di Varese e con gli enti del privato sociale Fondazione Exodus di don Mazzi, la Casa del Giovane di Pavia. Un progetto che si è svolto in otto Istituti di Istruzione Secondaria di primo e secondo grado che ha coinvolto 6.119 fra ragazzi e ragazze.

Gli adolescenti hanno risposto ad un questionario, diverse domande ma riconducibili ad una sola: come state?

Il 58% dei ragazzi intervistati per esempio ha dichiarato di essere, o essere stato in terapia da uno psicologo. L’81% è stato a dietaIl 26% dei ragazzi alle scuole medie e il 30% degli studenti delle superiori dichiarano di essersi procurati dolore fisico volontariamente. E ancora il 14% dei giovani degli istituti di primo grado ha già speso soldi in azzardo e il 53% del campione afferma di aver già giocato d’azzardo, il 27% alle medieIl 23% dei giovani ha parenti che giocano abitualmente d’azzardo e il 48% dei giovani intervistati alle scuole superiori ammette di essersi già ubriacato e il 6.4% di loro lo fa sempre nel fine settimana. Perché? Il 27% ha detto che lo fa per superare momenti difficili…

Ma bisogna andare oltre i numeri, oltre i dati e guardare bene in faccia i ragazzi, provare a rispondere alla loro domande che spesso non si fanno parola.

Il progetto Selfie è nato per una necessità, da un precedente progetto che consisteva in una mostra itinerante sul gioco d’azzardo chiamato “Non chiamiamolo gioco” promosso dalla Fondazione Exodus e dalla Casa del Giovane di Pavia. Nello sviluppo di questo progetto in molte parti d’Italia, capitava spesso di presentare la mostra all’interno di scuole e fummo colpiti dal notevole gap esistente tra le percezioni degli adulti e quelle delle studentesse e degli studenti. Avevamo l’impressione che molti insegnanti non avessero proprio idea di quello che passava nella testa dei loro alunni, stavano dietro la cattedra e questo per loro bastava… Da qui l’ipotesi di costruire uno strumento che consentisse di “fotografare” diversi aspetti della vita dei ragazzi sconosciuti o nascosti ai prof, perché pensavamo e pensiamo che per insegnare una materia a Pierino, prima dobbiamo conoscere Pierino. 

E la fotografia che ci restituiscono i dati è l’immagine di una generazione in movimento, difficile da catalogare.  Sono dati che vanno presi con delicatezza e rispetto e sui quali occorre riflettere senza generalizzare e semplificare troppo. Ci mostrano una faccia della complessità di questo tempo ricco di insidie e nel contempo di possibilità. Sono dati che vanno analizzati scuola per scuola insieme ai ragazzi. Ci mettiamo ogni volta nell’atteggiamento di ascolto, non di quello di esperti che sanno tutte le risposte».

I risultati della ricerca sono stati ottenuti chiedendo direttamente ai ragazzi, perché la cosa più importante è ascoltare la loro voce.

Credo che questo sia l’aspetto più interessante di questa specifica ricerca compiuta nella provincia di Varese», dice il responsabile di Fondazione Exodus. «Infatti si fa un gran parlare della necessità di trovare forme di partecipazione diretta degli adolescenti e dei giovani nelle cose che li riguardano ma poi si finisce sempre che sono gli adulti che giudicano e interpretano il loro pensiero e i loro desideri. Ci sono sempre gli esperti, le università, le varie istituzioni composte da adulti che analizzano e teorizzano sulla testa dei ragazzi. Questa volta invece le analisi degli adulti sono state affiancate con ugual peso da quelle della consulta studentesca e in alcune scuole i dati sono stati utilizzati per formulare commenti, per intervenire con giudizi da parte dei ragazzi stessi, autori dei loro selfie. 

E allora, alla luce dei risultati, forse sono gli adulti che dovrebbero domandarsi cosa stanno chiedendo i ragazzi al mondo degli adulti e della scuola

Ciò che più mi ha colpito nella valutazione dei ragazzi, osservando le loro sottolineature, sono le priorità che hanno messo in evidenza, diverse, molto diverse da quelle che forniscono normalmente i ricercatori adulti. Le ragazze e i ragazzi non chiedono solo maggiore attenzione riguardo ai possibili rischi che corrono, desiderano insegnanti e genitori più attenti. E mi pare che siano tre le priorità che ci vogliono indicare: l’amicizia, il tema dell’immagine e dell’apparire e quello del digitale e della voglia di comunicare.

L’amicizia, questione cruciale sempre ma vitale nell’adolescenza. Scrivono per esempio: “la sensazione è che i numeri della ricerca vadano contro i valori dell’amicizia e che questa rappresenti un’arma a doppio taglio capace di aiutare e sostenere ma anche di ingannare e tradire. 

Sul delicato tema dell’immagine corporea

Penso che, con l’aiuto della scuola e della famiglia, se si riuscisse a modificare l’aspettativa e la percezione che i ragazzi hanno del proprio corpo, allora sì che questo tornerebbe ad essere lo specchio dell’anima, riconciliando queste due parti inscindibili che fanno dell’uomo un perfetto esempio di armonia.

Infine, solo per riprendere alcuni degli spunti veramente interessanti, sull’uso dello smartphone in relazione alle percentuali presentate nel report di Selfie, serve ricordare che la maggior parte dei ragazzi racconta la voglia di comunicare, di stare a contatto con gli altri, a prescindere dalle tecnologie. Compensando “quello che la pandemia ci ha costretto a fare: tenerci a distanza”

Credo che se gli adulti ascoltassero con più attenzione la voce dei ragazzi avremmo una scuola diversa e una società migliore.

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