Chi li ha visti? Scomparsi ma non solo per colpa della DAD
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La dispersione scolastica esplicita e nascosta. Quale scenario dopo la pandemia?

Criticare la DAD è diventata pratica tanto gratuita quanto fuorviante. È indiscutibile che, quando potremo fare i conti con l’eccezionalità che ha travolto la scuola, non potremo che registrare come guadagno l’alfabetizzazione tecnologica a cui la sospensione didattica in presenza ci ha repentinamente costretto. In un anno la scuola in tutti i suoi attori ha acquisito un addestramento all’uso dei mezzi (non formazione, quella è altra cosa!) quale non avremmo ipotizzato nemmeno con un piano nazionale straordinario. E di grazia che questi strumenti abbiano sopperito all’emergenza; solo un decennio fa, sarebbe stato un enorme buco nero di istruzione per i nostri studenti.

Ma, a bocce ferme –speriamo quanto prima possibile- dovremo fare i conti con le deficienze della scuola come le conoscevamo da prima. Anzi, semmai acuite da questa fase.

Inadeguatezza.

Non si intende solo il vuoto di relazioni, peraltro mai davvero considerato come un problema dall’istituzione e in realtà gravemente incidente sulla motivazione, specie nelle superiori. Facciamo riferimento più in generale alla dispersione scolastica, punto critico forte, ancor più preoccupante se si vorrà prestare attenzione alla dispersione implicita o nascosta,  che riguarda gli studenti che pur conseguendo il diploma di scuola secondaria superiore «non raggiungono livelli di competenze di base nemmeno lontanamente sufficienti per esprimere scelte e comportamenti in grado di interagire consapevolmente nella società» (sono parole di Roberto Ricci, responsabile nazionale delle Prove Invalsi).

Una quota non trascurabile di studenti che conseguono il diploma  non raggiunge nemmeno lontanamente i livelli di competenza che ci si dovrebbe aspettare dopo tredici anni di scuola. Ai nostri ragazzi non è richiesto di avere “un’infarinatura” delle nozioni studiate a scuola, ma di possedere competenze. 

Questo scarto tra i dati statistici relativi alle promozioni e ai diplomi e il livello effettivo degli apprendimenti, più basso rispetto a quello dichiarato dai “pezzi di carta” rilasciati, era stato notato già negli anni settanta da Aldo Visalberghi con riferimento agli esami di maturità e da Roberto Giannarelli per quanto riguarda la licenza di scuola media: furono condotte limitate ricerche empiriche, rese difficili dalla riluttanza delle scuole e degli insegnanti a fornire informazioni e dati. Solo con la graduale diffusione della cultura e degli strumenti della valutazione di sistema si è potuto dare una base quantitativa alla rilevazione oggettiva dei dati relativi ai livelli di apprendimento.

La forbice si allarga.

E il black out costituito dalla pandemia non farà che accentuare la distanza tra insegnamento e apprendimento, vuoi per le carenze di strumenti, vuoi per l’oggettivo impoverimento della didattica, vuoi infine per la difficoltà di valutazione delle attività a distanza.

Insomma, un vulnus serio alla scuola per tutti, che dovremo dapprima saper misurare e poi approcciare. Senza scordare che insiste su una scuola  che già perde per strada risorse importanti: quella dispersione esplicita a cui si accennava. Nell’ultimo quinquennio, iniziato nel 2014-15 e concluso nel 2018-19, dei 616.284 studenti iscritti al 1° anno del 14-15 sono risultati iscritti al 5° anno del 18-19 soltanto in 469.006. Mancavano all’appello 147.278 studenti, con un tasso di dispersione che sfiora il 24%! Uno studente su quattro non termina il suo percorso e dei restanti, un buon 20% consegue un diploma con livello di competenze inadeguato: la “macchina scuola” assorbe 100 studenti e ne sforna solo 60 circa all’altezza dello sforzo. Il CdA di un’azienda privata con questi livelli di inefficienza verrebbe prontamente destituito.

Torniamo a mettere a fuoco il problema in tali dimensioni, se vogliamo che i nostri giovani si possano confrontare con dignità con l’Europa e i Paese avanzati.

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