La noia degli adolescenti in quarantena
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La fatica degli adolescenti in quarantena è sempre più palpabile. La senti quando ti dicono che non hanno certezze e non ne trovano da nessuna parte. Perché è innegabile che al tempo delle relazioni liquide dove tutto è fluido, si è aggiunto quello della lontananza e della noia. 

Se li ascolti davvero o se glielo chiedi, ti dicono che sentono il peso della solitudine e della reclusione. Ti raccontano della mancanza di libertà che in adolescenza è la cosa più reclamata, il vuoto dei rapporti e l’assenza totale di un spazio per l’attività fisica, che sono vitali per crescere. 

E poi la noia che grava nelle giornate lunghe, dove, confinati in casa, non sanno più sognare, né dormire. In parte, diciamolo, li abbiamo fatti crescere noi senza la voglia di inventare il tempo e immaginare il futuro! Abbiamo soddisfatto in anticipo i loro bisogni e adesso faticano a desiderare. 

Dormono poco e male, perché spesso in ansia per la scuola e per i risultati. Temono di non farcela, hanno paura del presente che non soddisfa e del futuro che terrorizza. Desiderano conoscere l’amore ma allo stesso tempo lo temono. Sono naturalmente attratti dalla sessualità ma non ne sanno un granché e confondono l’eros con la prestazione, il sesso con la pornografia.

Avvertono la mancanza fisica degli amici e tu li guardi e ti meravigli, perché avevi immaginato che con quel compulsivo messaggiare, alle relazioni non servisse più il corpo. Invece scopri che pesa il non poter stringere il ragazzo o la fidanzata e manca il contatto corporeo dei pari. Poi ti dicono che è scarsa, se non nulla, la disponibilità degli adulti ad ascoltare le loro angosce.  

Ci chiamano in causa dunque. Ci chiedono di fare la nostra parte che è quella di essere di riferimento per loro e di esempio, ma più di tutto in grado di condividere ciò che provano e capaci di accettare le loro emozioni negative. Ma non hanno bisogno di genitori che fingono sicurezza o sempre sorridenti, nemmeno però di adulti sconfitti e privi di fiducia. Gli serve a fianco qualcuno di disponibile, che non nasconda la frustrazione e lo stress, la malinconia e la tristezza ma sappia tenere insieme la sofferenza con la forza d’animo ed essere propositivo anche nelle situazioni difficili.

Un genitore, insomma, che non trovi subito soluzioni per loro, ma mostri l’importanza di accettare le emozioni negative invece che reprimerle. Un padre che gli chieda di assumersi la responsabilità dei sentimenti difficili, come rabbia o sconforto, non facili da gestire, e insegni a non dare la colpa ad altri dei propri comportamenti.  

Penso aiuti di più l’interesse autentico di un adulto di riferimento capace di ascoltare quel dolore interno che dà angoscia, piuttosto che un manuale pronto uso sul come uscire dal malessere. Li sosteniamo se empatizziamo con i loro sentimenti di vuoto e d’inutilità e se ammettiamo la noia tra le reazioni possibili. Magari chiediamo loro se hanno un’idea sul come affrontarla. E ricordiamo che la noia non è mortale e non va azzerata con un fare compulsivo. Stare in ozio, magari distesi sul letto a non far nulla e con “gli occhi appesi al soffitto”, può servire. L’abbiamo conosciuta tutti questa dimensione e sappiamo che è stata un gran momento di crescita e di creatività. Aiutiamoli a utilizzarla.

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