Le trappole di Narciso. Il pericolo della sua ambiguità
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Una società narisistica

Tuttavia paradossalmente non è ben chiaro a cosa ci riferiamo quando parliamo di narcisismo ne quali sono i modelli culturali ai quali facciamo riferimento. Terrei come timone la distinzione  che in psicoanalisi si fa tra  “narcisismo primario” e “narcisismo secondario”.  

Non temete non è mia intenzione annoiarvi con eccessivi rimandi alla metapsicologia ed allo sviluppo del concetto di narcisismo, richiederebbe tempo e capacità che non penso di avere, oppure al contrario di semplificarli eccessivamente.

Propongo quindi questa distinzione: il narcisismo primario riguarda la relazione originaria, per intenderci quella con il seno materno vissuto come indistinto da sé nella sua dimensione, per così dire “fusionale”. Ovverosia una fase di sviluppo che pensiamo essere del tutto naturale poiché il processo di differenziazione non si è ancora sviluppato né nella dinamica sé altro da sé ne nella costituzione sia pure parziale di un Io. Nel narcisismo secondario, che poi è quello che viene comunemente chiamato narcisismo l’investimento viene rivolto all’Io del soggetto, fragile quanto si vuole ma che proprio grazie a queste esperienze acquista una strutturazione  adeguata. In realtà il narcisismo, quando è sano, a questo serve, a sviluppare un certo grado di autonomia, di stima di sé e cosa ancora più importante a poter sviluppare un sentimento di integrazione del sé fondamentale per poter costruire degli affetti e delle relazioni sufficientemente buone e stabili nel tempo.

Narcisismo e consumismo

Sottolineo di sfuggita come porre l’accento sulla creazione di legami affettivi,  significa porre anche l’accento sulla possibilità di riconoscere che il nostro benessere riguarda la possibilità di non temere la nostra dipendenza da qualcosa di buono che è esterno a noi.  Al contrario sul piano della società attuale tutto questo si traduce in una spinta all’acquisto di oggetti il cui possesso conferirebbe valore a chi li acquista. Ricordate la pubblicità di una nota marca di cosmetici che recitava “perché io valgo”!

E’ questa la domanda che pone la matrigna di Biancaneve “specchio specchio delle mie brame chi è la più bella del reame?” Non è forse lo specchio il simbolo per eccellenza di Narciso, ed è allo specchio che la matrigna, non conoscendo la profezia di Tiresia si rivolge, lo specchio che ti restituisce l’immagine dell’oggetto amato,  ovverosia te stesso, ma che ti porterà alla morte.

Quante volte abbiamo sentito nei talk show la frase narcisista per eccellenza “Io mi sono fatto da me”, frase che Racamier nel suo libro “il genio delle origini” considera alla stregua di una forma di delirio, il delirio di non avere (avuto) genitori, ovverosia di non avere nessuno a cui essere grato (e credetemi sulla parola poche cose sono sconosciute a Narciso come la gratitudine), nessuno da cui siamo dipesi, negazione della nostra stessa infanzia, delle amorevoli cure che qualcuno ci ha dato e che funzioneranno come modello nella vita adulta.  

L’ambiguità del narcisismo

Altre volte Narciso si nasconde, e lo fa attraverso una colpevolizzazione di sé che però se osservata controluce mostra il filo della grandiosità narcisistica nascosta dalla colpa e questo risulta particolarmente evidente nel lavoro clinico. Quanta desolazione  e solitudine quando si entra nel mondo interno di Narciso. Narciso si nasconde, nella società consumistica che lo glorifica al solo scopo di vendere sempre più oggetti che dovrebbero testimoniare il nostro valore, nel nostro mondo interno negando di essere lui stesso debitore ad altri o al contrario colpevolizzandosi di ogni insuccesso, in entrambi i casi mostrando la sua solitudine. Due forme di narcisismo, entrambi niente affatto sane. 

Vorrei concludere con una riflessione sull’ambiguità del narcisismo e sul perché sia così difficile da riconoscere ed analizzare. Tutti noi conosciamo il comandamento evangelico “ama il prossimo tuo come te stesso”.

Bene proviamo ad analizzare questa frase, una prima versione la più semplice suonerebbe così, ama il prossimo tuo ne più ne di meno di quello che ami te stesso, una interpretazione diciamo cosi quantitativa che pone l’accento sui limiti dell’essere umano un po’ come dire che non puoi pretendere di amare l’altro più di te stesso. Ma potrebbe esserci un’altra interpretazione, un interpretazione che rimanda all’identificazione con l’altro, ovvero io e l’altro siamo uguali e per questo lo amo come me stesso, ma in questo caso non sarebbe come dire ama te stesso attraverso il prossimo tuo e non è questo il limite autentico del “Narcisismo”?

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