Identità. Adolescenza e social
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Li incontro e li ascolto per motivi diversi gli adolescenti di oggi, quelli che qualcuno chiama “face down generation”, la generazione a faccia in giù, eternamente china sullo smartphone. Ogni volta mi chiedo dove sta la loro identità perché li sento soli, isolati in una identità digitale che li rende diversi dalle generazioni che li hanno preceduti, forse unici.

Essere presenti sulla piazza virtuale dei social è ormai abituale come un tempo c’era quella del paese dove andavi per lo “struscio” e che era un curiosare nelle vite degli altri ma, anche allora, un farsi vedere e un esserci.

Una moda? Non direi. Un bisogno, quello di essere riconosciuti e acquisire un’identità. Non è cosa da poco se ci pensiamo. Perché è come dire “Mi vedono dunque sono”, esisto. Nulla di diverso dalla mia adolescenza, perché a quell‘età gli adolescenti non hanno ancora abbandonato i bisogni per i desideri. Anzi ne sono dominati e lo si vede anche in questa generazione che si mostra agli con infiniti selfie e si posta sui social in video abilmente realizzati con gli onnipresenti smartphone.

Li vedi, di fatto, smanettare ovunque, h24 e uno accanto all’altro, appoggiati ad una ringhiera o in un equilibrio impossibile sull’autobus e ti paiono sicuri, precocemente capaci di fare più cose contemporaneamente come ascoltare musica e mandare vocali e anche studiare. Sembrano decisi, con zero dubbi, mentre sono più spesso fragili anche quando sfacciati e arroganti.

Profondamente diversi da come ero io alla loro età che mi ricordo imbranato, impacciato e pieno d’incertezze, ma in ammirazione continua di chi sapeva muoversi con scaltrezza mentre io ero visibilmente privo di una bozza qualsiasi di identità, se non quella dell’incapace.

Oggi invece con i social puoi avere una forma per “essere”, magari uno o più avatar per rappresentarti nelle varie parti che avverti dentro ed essere anche un’icona ufficiale da esibire nel tuo profilo. Perché solo se hai un’immagine, non necessariamente un volto, ci sei per gli altri.

A questo può servire, ad esempio, il postare proprie foto, anche intime e private. Può esorcizzare l’ansia che viene da per quelle veloci trasformazioni che avverti o contenere l’angoscia per un corpo ancora estraneo o addirittura nemico.

Il problema caso mai, è quello di dare loro una mano nel laboratorio in cui stanno facendo le prove tecniche di trasmissione. La sfida, al solito è educativa, è l’esserci come adulti affidabili capaci di mostrare i rischi del web, il pericolo elevato di adescamenti, la deriva sempre più subdola e inquietante della pedopornografia.

La necessità è quella di esercitare di persona il controllo oltre al Parental control, utilissimo ma non sufficiente, l’esserci in quanto adulti competenti e non persecutori con telecamere o metal detector.

Essere genitori oggi vuol dire saperli attrezzare prestissimo al rispetto degli altri online oltre che in presenza, informarli sui rischi della rete e cogliere tutte le occasioni per dialogare e discutere con loro dei pericoli derivanti da un uso improprio delle tecnologie. Riconoscere e far riconoscere che oltre ai bisogni ci sono pure i nuovi disordini e le nuove dipendenze

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