Il corpo e lo stigma sociale. Il peso del pregiudizio al tempo del Covid
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Lo stigma è un fenomeno che noi dermatologi conosciamo bene. I nostri pazienti spesso ci raccontano la loro sofferenza nel sentirsi osservati, giudicati, esclusi, isolati, discriminati in seguito alla dermatosi di cui sono affetti.

E’ una tematica  molto attuale, non solo per la dermatologia, ma anche perché l’infezione da Covid-19 ha a che fare con pregiudizi e stereotipi e ha importanti implicazioni etiche. Nel marzo dello scorso anno l’OMS insieme alla Federazione Internazionale di Croce Rossa e all’UNESCO ha pubblicato un documento per dare indicazioni utili a prevenire e combattere lo stigma, sottolineandone così l’importanza.  Nell’antica Grecia e nel mondo Romano lo stigma era un marchio a fuoco, indelebile, che veniva posto sulla fronte di persone che avevano avuto comportamenti moralmente condannabili, come delinquenti e schiavi fuggitivi. 

Lo stigma può originare da:

  • Differenze fisiche visibili: abbigliamento, disabilità, obesità, colore della pelle
  • Comportamenti e fattori sociali: alcoolismo, uso di droghe, essere stato in carcere, LGBTI, essere mancini
  • Razza, religione
  • Malattie: psichiatriche, HIV, epilessia, neoplasie, dermatosi (psoriasi, dermatite atopica, vitiligine, ecc.) e recentemente il covid-19.

Il documento dell’OMS riporta: “In una epidemia, ciò (lo stigma) può significare che le persone vengono etichettate, stereotipate, discriminate, allontanate e/o sono soggette a perdita di status a causa di un legame percepito con una malattia”.  All’inizio della pandemia venivano stigmatizzati i cinesi, poi è toccato ai “settentrionali” (i lombardi, i milanesi, in particolare), poi al personale sanitario. In Africa lo stigma era rivolto contro i “bianchi”, accusati di introdurre in quel continente l’infezione. Con l’avanzare della pandemia la mia impressione è che sia un po’ ridimensionato lo stigma verso chi si è infettato, ma è comparso quello rivolto a coloro che negano l’esistenza di questa infezione, che non usano le mascherine protettive e ancora più di recente a chi rifiuta di sottoporsi alla vaccinazione.

Stigma: stereotipo e pregiudizio

La formazione dello stigma è un fenomeno complesso, senz’altro collegato comunque a stereotipi e pregiudizi. Lo stereotipo è una opinione precostituita su persone o gruppi, frutto di una generalizzazione, di una semplificazione. Dato che la nostra mente non riesce ad elaborare tutte le numerose informazioni che le arrivano tende a selezionarle, a raggrupparle in modo da formare categorie semplificate di individui e gruppi sociali che permettano di interpretare rapidamente la realtà. Ha una componente cognitiva.


Il pregiudizio è un’opinione, di solito negativa, che si formula su una persona o un gruppo di persone senza avere informazioni sufficienti. Ha quindi una componente emotiva e guida il comportamento. Può derivare da uno stereotipo. Stereotipi e pregiudizi in effetti si alimentano a vicenda. C’è lo stereotipo, ad esempio, che una persona affetta da una malattia dermatologica sia contagiosa. Così quando si interagisce con lei si ha il pregiudizio che sia pericolosa e vada evitata, senza avere una reale conoscenza della malattia. Probabilmente si tratta di un meccanismo di difesa ancestrale, che risale a quando gli individui si dovevano difendere da malattie quali vaiolo, peste, lebbra, scabbia, che causavano appunto manifestazioni cutanee e la comunità non potendole curare per difendersi dal contagio stigmatizzava, isolava ed allontanava gli infetti.

Stereotipi e pregiudizi sono all’origine delle aggressioni, psicologiche e talvolta fisiche, che hanno subito numerosi operatori sanitari, accusati di diffondere il Covid. Lo stigma e la discriminazione possono essere anche strumenti politici, usati per mantenere le regole: chi si discosta, chi devia da esse viene stigmatizzato ed emarginato. Serve per screditare un avversario, una minoranza, un popolo. L’hanno sperimentato gli italiani che tra fine 800 e novecento sono emigrati negli Stati Uniti, in Francia ed in Svizzera, accusati dai giornali del tempo di essere tutti “Mangiaspaghetti, untori, rubalavoro, corrotti”. 

È accaduto anche in Africa con le epidemie di SARS e di Ebola, della cui diffusione erano state incolpate alcune minoranze etniche, cui sono stati tolti alcuni diritti civili. Il Covid è stata l’occasione per scatenare nuove tensioni tra Stati Uniti e Cina.

Conseguenze dello stigma

Chi ha dermatosi visibili, non guaribili, prova vergogna, senso di colpa, solitudine, rabbia e cerca di nasconderle per non essere stigmatizzato ed emarginato. Il bisogno di essere accettati ed inclusi nella propria comunità è molto forte. Da sempre l’uomo sopravvive meglio in gruppo. La solitudine e l’isolamento non a caso si associano a maggiore mortalità. Per il timore di discriminazioni (ed anche per il timore di dover restare in quarantena) molti hanno evitato di sottoporsi agli screening, hanno nascosto la positività al covid19, con il rischio di favore l’ulteriore diffusione dell’infezione.

Gli individui selezionano ed accettano le informazioni che si accordano con la propria visione del mondo, e quindi anche con i propri stereotipi ed i propri pregiudizi. Ognuno di noi, ad esempio, legge i giornali ed ascolta le trasmissioni più in sintonia con le proprie idee. Lo stesso sta accadendo per la ricerca di informazioni sull’infezione da covid-19. Così c’è chi crede ai complotti, alla fabbricazione del virus in laboratorio, alla pericolosità del vaccino ecc. Si crea una “cultura di gruppo”, basata su determinate “verità”.

Una quota significativa di operatori sanitari ha rifiutato di sottoporsi alla vaccinazione. È lecito, dal momento che non vaccinandosi corrono il rischio di infettare i propri pazienti? Chi non si vaccina potrà lavorare a contatto con i pazienti? Dove finisce il diritto di scelta e dove inizia il diritto alla salute dell’altro e della comunità? In ogni caso va tenuto conto anche del fenomeno della reattanza: quando un individuo ha la percezione che gli vengano tolte delle libertà (ad esempio quella di poter decidere) reagisce opponendosi. Così più una cosa viene imposta, più genera resistenza. Dalle indicazioni del documento dell’OMS desidero sottolineare ancora due aspetti: 

Le parole contano”, conta il linguaggio che media, scienziati e politici usano perché ha grande influenza su come le persone formano le proprie convinzioni. “Fai la tua parte”, perché ognuno ha la sua responsabilità, nel controllare e verificare le informazioni, e nel come usarle. Questa pandemia e le riflessioni che in vari ambiti stiamo facendo potrebbero essere una buona occasione per mettere alla prova molti stereotipi e pregiudizi che abbiamo e poterli eliminare. E forse diventare un po’ migliori.

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