Non pensavo sarebbe accaduto ma ad un certo punto anch’io, come tutti gli psicologi e gli psicoterapeuti, ho ceduto a Skype. Un po’ perché non potevamo lasciare i nostri pazienti senza un supporto, e un po’ perché non potevamo restare noi senza un supporto, poter scegliere di lavorare ha senza dubbio permesso di affrontare la situazione sentendosi meno in balia di eventi sui quali non avevamo nessun controllo. L’esperienza della seduta a distanza non è in verità così nuova.
La novità che mi preme sottolineare è data dalla video chiamata e dagli effetti direttamente collegati. Questa modalità nasce dapprima per quei pazienti troppo lontani dallo studio per poterlo agevolmente raggiungere pur con l’auto certificazione. Oppure per quelli che risiedono in altre regioni, anche se poi si è estesa a quei pazienti che a torto o a ragione ritenevano lo studio un luogo non sufficientemente sicuro.
Un’esperienza, dicevo prima, che si è rivelata al di sopra delle mie aspettative, ma che ha caratteristiche del tutto peculiari, che vale la pena sottolineare. Il primo punto è la similitudine. Con la DAD (Didattica a Distanza), anche una terapia non può prescindere dalla dimensione affettiva della terapia stessa e dal suo riconoscimento. In altre parole paziente e il terapeuta fanno esperienza insieme di quello che accade nelle sedute.Partendo da questo abbiamo affrontato Skype e le sue caratteristiche. Mi è balzata subito agli occhi, è proprio il caso di dirlo, l’emergere prepotente della dimensione esibizionista/voyerista in quanto il paziente letteralmente ti fa entrare in casa sua, ti invita (o ti costringe?) a guardare. In questo senso è Alice di là dello specchio e Skype come lo specchio di Alice.
Per fortuna sono sopravvenute a mettermi in guardia le parole del mio tecnico del computer che un giorno di parecchi anni fa mi disse (si ricordi dottore che se lei guarda loro, loro guardano lei) si riferiva ovviamente a internet ma credo siano state particolarmente azzeccate anche in questo frangente. Ed ecco allora il sorriso che faccio tra me e me alla paziente che in modo assolutamente “candido” mi comunica che in casa sua il wi-fi prende particolarmente bene “solo” nella sua camera da letto!Mancava solo che dicesse “scusi il disordine”. E lo stesso accade però sul versante del terapeuta: da dove rispondi al paziente? Cosa rischi di mostrare di te? Il tuo studio? E se per qualche motivo dallo studio non puoi?
Mai come in questa esperienza mi sono reso conto dell’importanza della neutralità dello studio, neutralità che non deve essere confusa con l’asetticità. Nessuno studio è asettico, ogni elemento racconta un aspetto della personalità del terapeuta, neutrale nel senso che cerca di non condizionare le associazioni del paziente fornendo elementi della realtà del terapeuta inappropriati, neutralità come forma di rispetto verso il paziente, verso il suo mondo interno e verso la possibilità che questo mondo interno possa dispiegarsi e trovare uno spazio accogliente, lì, solo per lui. Le video chiamate hanno messo a dura prova questa neutralità, l’inconscio ha potuto giocare a nascondersi e a mascherarsi dietro una realtà incontrovertibile.
C’è stata però una situazione in cui, per paradosso, la mancata presenza ha reso più facile avvicinarsi, la distanza ha permesso di affrontare pensieri e fantasie altrimenti troppo vicini, troppo pericolosi.
Volete sapere come è andata a finire con quella paziente? Ovviamente non ho potuto interpretare che sembrava molto che stessimo giocando a fare i fidanzatini che si chiudono in camera di lei per non essere disturbati, anche se poteva pure essere “vero” nel senso di reale! Che ne so io delle coperture della rete in un’altra regione!
Non nego che l’esperienza delle sedute via Skype, di gran lunga più soddisfacenti di quello che mi aspettavo, possa essere utilizzabile anche nel futuro, in situazioni particolari ma penso che come per la scuola anche per una psicoterapia niente possa sostituire la presenza, l’essere insieme, in una classe come in uno studio.