Da circa un mese c’è un film che sta riempiendo le sale. Un film prezioso dal punto di vista artistico e scientifico, intelligente e accurato capace di spiegare i processi interni che ora le neuroscienze stanno mettendo in luce. Parla di emozioni e le presenta come la parte più autentica di noi, perché le emozioni determinano la maggior parte dei nostri comportamenti e dicono quello che accade al nostro interno. Emozioni che sono veritiere e non ci imbrogliano sula realtà, contrariamente a quanto fa la ragione con la quale invece possiamo raccontarci menzogne.
Nel film si parla quasi solo di un’emozione che vive la protagonista, una ragazzina entrata nella pubertà. È l’ansia cioè quella inquietudine che è processo fisiologico con cui deve fare i conti l’adolescente per diventare grande, anche se ne segna la crescita e mette in crisi l’autostima.
L’ansia è paura senza nome in quanto la paura è sempre per qualcosa di specifico come la paura dei ragni o dei cani, quella di volare o di un brutto voto. L’ansia è agitazione, preoccupazione o allarme senza motivo che però segnala un pericolo sconosciuto. Dell’ansia conta la quantità: un’ansia moderata e contenuta è naturale, forse necessaria. Oltre un certo livello invece è nociva, è come la febbre, un sintomo che indica un’alterazione o l’infiammazione di un organo e va indagata. In adolescenza può essere dunque utile al processo di individuazione, può servire per i “compiti” che fanno diventare grandi. Ad esempio l’ansia giovanile è quella del tempo in cui si sperimenta l’autonomia e prevede il compito di “alzare le vele e prendere i venti del destino dovunque spingano la barca” (E. L. Masters, Antologia di Spoon River, Einaudi).
Èla preoccupazione di partire per destinazioni sconosciute con quel poco che serve del passato, dopo aver resettato un po’ tutto. Perché l’adolescenza è il momento del pruning sinaptico, cioè della potatura delle sinapsi come importante rimodellamento cerebrale. Accade in natura che dalla potatura dipende il futuro della pianta, così in età giovanile l’inquietudine sta tutta nel non sapere come sarà la chioma del proprio albero e nel non riuscire a immaginare i frutti o il raccolto. La possiamo chiamare con nomi diversi, uno dei più recenti e di moda è “ecoansia” ma è pur sempre disagio, stato di allarme per il futuro incerto, stress intenso e senso di impotenza e che io trovo in tanti adolescenti che vengono a chiedermi aiuto nella “stanza del dolore”.
Sono i ragazzi e le ragazze che narrano la loro insicurezza e una preoccupazione eccessiva per la vita. È la confessione di non aver fiducia in se stessi e il non saper attendere né accettare gli inciampi, perché famiglia e scuola non hanno dato loro strumenti per rialzarsi dopo una caduta o misurare la febbre. Anzi la nostra società frenetica e narcisista, quella che alimenta la competizione più esasperata e sviluppa uno stress continuo che porta a vedere la vita a tinte fosche, fa crescere ovunque un dolore mentale ingestibile. È quella l’ansia dannosa che non fa andare avanti perché è l’ansia di perfezione che molti gli adolescenti si riconoscono, ma che è tormento infinito e pericoloso e non di rado diventa panico che inchioda