COVID-19 e gli effetti del trauma collettivo
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Al segnale di “liberi tutti” sembra che vi siano due reazioni dominanti: una di chi preferisce starsene ancora in casa protetto dai pericoli del contagio e al sicuro dal nemico che è ancora tra noi, e l’altra di coloro che hanno voglia di riprendersi tutta la libertà perduta e vedono la movida come un modo per compensare le insopportabili limitazioni di mesi di isolamento. Due comportamenti opposti, due polarità che si manifestano quando saltano gli equilibri e, come sta accadendo ora, ci sentiamo scombussolati dal terremoto psicologico della pandemia.

Potremmo dire però che sono due facce della stessa medaglia. Ovvero potrebbero essere proprio gli effetti del trauma collettivo che ha attraversato la nostra esistenza. Il COVID-19 del resto ha prodotto un forte impatto emotivo di cui oggi si possono già intravvedere le reazioni.  

Può ad esempio accadere che con diversa suscettibilità si provi paura del mondo o al contrario, per difesa dall’angoscia si neghi il pericolo e si tenda alla trasgressione delle regole. Si può andare a caccia dell’untore che oggi ha il volto anonimo dell’asintomatico oppure oltrepassare con spavalderia i limiti della sicurezza. È quello che vediamo nelle azioni trasgressive dei molti ragazzi che in questi giorni affollano le piazze e senza mascherine non rispettano le distanze di sicurezza.

Possiamo prendercela con questi adolescenti, li possiamo giudicare irresponsabili e scagliare su di loro gli strali della nostra aggressività accusandoli di irresponsabilità, oppure sanzionarli pesantemente, ma non ha una grande utilità sul piano educativo. Questi comportamenti possono essere la manifestazione, turbolenta e priva di controllo, di un disagio emergente o delle inquietudini e che stanno provando tutti come reazione all’angoscia non ancora metabolizzata. Per aiutare i ragazzi a contenere la trasgressività tipica dell’adolescenza che spesso coniuga spavalderia e incoscienza, forse dovremo ripensare a modelli educativi diversi, capaci di dare esempi più che parole.

Ma al di là di questo vi è da dire che il lungo tempo delle restrizioni, l’ isolamento e il distanziamento sociale non si azzera con l’apertura delle porte e il ritorno alla libertà. Gli effetti del disturbo post-traumatico da stress si possono vedere col tempo e si mostra a partire dalla percezione di intensi sentimenti di perdita a cui si aggiungono sensazioni di non saper più prevedere il futuro e sentirsi incapaci di dare un senso al tempo. Prevale, tra le tante reazioni, la perdita della sicurezza e la percezione, quasi fisica, di non avere più uno scopo nella vita. Il che fa avvertire un senso di immobilità che paralizza e impedisce di fare quello che si faceva un tempo. Forzarsi di mantenere gli stessi ritmi può essere controproducente sul piano psicosomatico. Meglio rispettare il proprio corpo, assecondarlo, fare un passo per volta. Altrimenti nel tentativo di placare l’ansia, si rischia di mobilitare difese che fanno ricorrere a un aumento di cibo, di alcool o di sostanze.

Superare la condizione traumatica richiede tempo, pazienza e resilienza ma anche strategie per migliorare la propria capacità di regolare e gestire le emozioni.

È di grande utilità saper fronteggiare lo stress con pratiche di meditazione o di distensione psicofisica che migliorano l’autocontrollo. Oggi le neuroscienze confermano l’efficacia di questi metodi in grado di farci contenere le tensioni e uscire dallo stato di nebbia emotiva che può produrre distacco dalla realtà. È altrettanto indispensabile restare connessi con se stessi e riconoscere quello che accade dentro per recuperare il senso di sicurezza perduto. C’è bisogno di identificare dove ci sentiamo al sicuro così come mantenere in piedi relazioni significative, amicizie, rapporti affettivi o anche terapeutici dove poter narrare ad altri quello che sentiamo dentro e magari trovare insieme un nome e un significato ai pensieri presenti e alle esperienze passate.

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