Homo sapiens
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L’evoluzione umana

Ho scoperto solo di recente, in età avanzata,  che non esiste  una evoluzione umana così come pensavo prima, ovvero una evoluzione costante che faccia crescere l’umanità sul piano comportamentale, relazionale, sociale; ho scoperto cioè che è solo illusione ipotizzare che alla crescita della tecnologia umana corrisponda una crescita della ‘umanità’ in sé. 

Micidiale! Non si capisce perché ci sia arrivato così tardi. Forse per i residui di una convinzione socialista ottimista, condita con l’olio della fede che impregna per decenni un capo aspirante cattolico, anche dopo la scoperta più definitiva dell’assenza di ogni trascendente. Ho scoperto dunque che, quando si dice che noi ora non siamo più come gli uomini delle caverne, si dice in realtà una stupidaggine per quanto riguarda le caratteristiche comportamentali e relazionali umane; l’affermazione è vera solo per quel che riguarda la tecnologia, che nella maggior parte del mondo è ora molto diversa da quella di diecimila o cinquantamila anni fa.

Sul piano comportamentale dunque si deve solo lottare un po’ meno, ora,  per sopravvivere,  data la maggiore facilità -che è garantita da una tecnologia sempre più complessa ed efficiente-  ad acquisire alimenti ed ogni altra cosa necessaria alla vita.

Ciò ha permesso in maniera crescente a molti più umani di sopravvivere e di popolare il mondo rispetto alle civiltà precedenti. La popolazione mondiale è stata abbastanza stabile nei millenni fino ad un primo grande exploit -legato all’invenzione delle macchine- nella metà del settecento e ora soprattutto (e per certi aspetti drammaticamente) dalla seconda metà del novecento. E tuttavia è abbastanza comune continuare a credere, erroneamente, che esistesse un uomo primitivo che poi nel tempo si è mentalmente e umanamente evoluto.

Identici all’Homo sapiens

Nella nostra caratteristica di umani invece siamo e rimaniamo del tutto identici agli uomini delle caverne di decine di migliaia e anche di due-trecentomila anni fa, quando pare sia comparsa questa specie cui apparteniamo.Stiamo parlando della nostra specie umana ovvero dell’Homo Sapiens, l’uomo che ha eliminato, uccidendoli, mangiandoli e accoppiandosi a volte con le loro donne, tutti i Neanderthal e molto probabilmente anche i Denisoviani che ha incrociato,  ovvero gli uomini un po’ meno intelligenti  o semplicemente meno capaci di fantasticare e progettare o comunque con meno risorse competitive, che erano apparsi qualche migliaia d’anni prima di noi.

L’accoppiarsi ha permesso che un po’ della genetica degli uni e degli altri sia tuttora presente tra di noi, ma la genetica prevalente è quella, più recente ed efficiente, del Sapiens.

Oltre alla crescita tecnologica (che negli ultimi settant’anni ha permesso alla popolazione mondiale di aumentare da due miliardi a sette e mezzo!) esiste in realtà un’altra evoluzione possibile: quella che porta alla crescita intellettuale e poi comportamentale e relazionale-sociale, di ogni nuovo nato.Questi passa sempre ed ugualmente, in ognuna delle circa diecimila generazioni che si sono succedute negli oltre duecentomila anni di esistenza della nostra specie,  da una condizione di totale animalità primitiva  -quella della nascita e dei primi tempi di vita- a via via maggiori capacità personali e sociali anche in ragione dell’ educazione che gli viene imposta dall’ambiente in cui vive.

Si tratta dunque di evoluzione individuale, non collettiva.

Nulla rimane infatti  -di quanto ogni uomo ha pensato e fatto-  che non sia tramandato attraverso le parole e ogni altra azione, detta per l’appunto educativa e culturale, di chi fa crescere i nuovi nati; ciò è assodato, anche se si pensa spesso, sempre errando, che la cultura si possa trasmettere geneticamente.

Peraltro questa convinzione di una evoluzione costante e collettiva da una originaria animalità preistorica ad una civiltà sempre più sofisticata, sembra difficile da eradicare: la possiamo individuare dentro ciascuno di noi ed, essa sì,  si ripropone ad ogni generazione: ciò verosimilmente per la fatica ad accettare che ogni nostra acquisizione, che otteniamo con fatica nella crescita, scompaia con la morte, e quindi per il desiderio che proprie parti e in primis gli sforzi che ognuno ha fatto per crescere culturalmente e in saggezza personale e sociale, persistano eternamente nel patrimonio umano.

La cultura non si trasmette in automatico

La  scomparsa delle civiltà antiche che conosciamo, dell’Egitto, della Cina, della Mesopotamia di 5000 anni fa, dell’Italia e della stessa Europa dell’impero romano di 2000 anni fa, ci danno ampiamente prova della non trasmissibilità automatica delle acquisizioni culturali, sociali  e soprattutto delle qualità umane che possiamo ritrovare al culmine della vita di ogni singolo e di ogni società.Esistono ritrovamenti, sempre più numerosi e sempre più antichi (di cinquantamila anni fa le più recenti scoperte di figurazioni grafiche di umani)  che testimoniano capacità rappresentative ed ideative  del tutto corrispondenti a  quelle attuali: in taluni graffiti le figure umane appaiono quasi magicamente trasformate, come in rappresentazioni artistiche del tutto recenti.

Del resto anche il patrimonio tecnologico non è eterno e può scomparire, almeno da qualche contesto sociale se non da tutto il mondo, laddove ogni acquisizione relativa venga distrutta senza poter passare alla successiva generazione.

Della cultura e della tecnologia si riproduce infatti, passando così alle nuove generazioni, solo ciò che viene insegnato direttamente ed in maniera sistematica ad ogni singolo nuovo nato.

Paradossalmente ciò avviene soprattutto ove si abbia minore fiducia nella trasmissione ideale dei ‘valori umani’ e si raggiunga invece la consapevolezza che le grandi potenzialità intellettive infantili rimangono sempre primariamente rivolte verso bisogni molto semplici e banalmente animali, ovvero quelli del nutrirsi, dell’accumulare e del riprodursi: solo nel rispetto di queste istanze si può trasmettere l’educazione sociale e tecnologica. Il compito di educazione è condotto usualmente dai genitori e dalle persone dedicate appositamente all’istruzione collettiva dei piccoli. Essi sono così indirizzati verso comportamenti e regole utili per la propria sopravvivenza personale e sociale nel loro contesto esistenziale.

Tutto ciò vale per ogni singola generazione e solo a patto che le regole familiari e le organizzazioni educative continuino la propria attività ad ogni nuova generazione. Eventuali modificazioni ad intento migliorativo possono intervenire solo ove esista un’organizzazione della comunità che se ne occupi con consapevolezza e costanza: esse risentono delle mode e delle spinte politico-culturali del momento.

Educazione e crescita dell’umanità

La crescita della ‘umanità’, anche intesa come progresso momentaneo delle capacità relazionali e di convivenza -di qualsiasi tipo si tratti nei diversi contesti, da altamente gerarchizzata a paritetico-identificatoria- è dunque tutta nelle mani delle istituzioni educative e, ricordiamolo, sempre partendo da zero per ogni nuovo umano.

La scomparsa delle civiltà passate è  avvenuta soprattutto in relazione a sconfitte militari con vere distruzioni di ogni originaria caratteristica, sostituita del tutto o per la maggior parte da quelle dei vincitori; ciò sempre attraverso la perdita dei propri elementi culturali educativi collettivi e dei relativi modelli comportamentali.Sostituita, ma non sempre: a volte l’invasione del proprio territorio da parte di altri umani assumeva solo carattere di saccheggio e distruzione temporanea, senza lasciare alcuna traccia della cultura dell’invasore. Ciò avveniva per l’estrema diversità di livello culturale: pensiamo in tal senso a molte delle incursioni barbariche nella nostra penisola che nulla o pochissimo hanno lasciato della loro civiltà.

A volte si è realizzata però una determinazione distruttiva volontaria da parte del vincitore che ha intenzionalmente non sostituito ma direttamente eliminato ciò che esisteva della civiltà conquistata; ricordiamo ad esempio la distruzione di Cartagine da parte dei romani, effettuata con l’intento volontario di non lasciare alcuna traccia della cultura che ivi esisteva.La  disgregazione del contesto politico e civile avveniva dunque per intervento militare di nemici esterni, spesso forti, organizzati, invincibili, ma a volte solo per intervenuta fragilità interna, con relativa resa ad attacchi meno virulenti e meno organizzati (così come è avvenuto per l’antica civiltà egizia ad esempio).

Una “vis destruendi”?

Si può pensare al proposito, in una riflessione sulla caduta di ogni grande  civiltà, che esista una sorta di vis destruendi rivolta a sé che coglie le società (come le persone) dopo il conseguimento dei massimi successi, sia per sorta di rilassamento successivo a tale superiore vittoria (come se nulla ora potesse minacciare sé e il proprio contesto esistenziale) sia anche -in una visione meno cinico-strumentale- per sorta di ideale senso di giustizia e dunque di colpa verso gli altri non vincitori?

Di fatto ogni ambito naturale e sociale umano pare destinato a non durare come tale e ad essere superato nella altrui conquista, o nella personale autodistruzione, come sostiene chi vede inevitabile che ogni collettività umana arrivi sempre a  distruggere il proprio ambiente e le proprie abitudini di vita. E così bastano due-tre generazioni per riportare alla cosiddetta barbarie (ovvero allo stile primitivo) il comportamento generale di una popolazione ed il suo luogo stesso di vita.La condizione umana che tende al comportamento primitivo è presente in tutti noi, sempre attiva nel proprio interno; essa appare libera e incontrollata in ogni nuovo nato ed è limitata, rispetto alla immediata volitività infantile, solo dall’educazione e dalle regole sociali. Esistono infatti in ogni vivente, nessuno escluso, dalla nascita e  permanendo in qualche modo  per tutta la vita, delle attitudini, con relativi desideri e comportamenti ad essi coerenti.

Per sopravvivere

Tali caratteristiche, che permettono ad ogni vivente la sopravvivenza, consistono nel


  1. nutrirsi-riempirsi di tutto ciò che piace, a qualunque costo e contro qualsiasi ostacolo;
  2. cercare ostinatamente anche la soddisfazione del puro dominio sull’altro, ovvero la gioia ineffabile di disporre di ogni cosa e di ogni vivente: ciò  avviene in corrispondenza della crescita fisica, intellettuale ed emozionale garantita dalla disponibilità di alimenti  e di protezione ambientale sufficienti alla prima crescita infantile;
  3. dare soddisfazione al desiderio sessuale, con le conseguenze di riproduzione della propria genetica.

Questa sequenza ha luogo in tutti i viventi umani ed in ogni loro società, per quanto primitiva o viceversa evoluta tecnologicamente: le diversità si realizzano   nell’assetto delle regole di relazione che cambiano a seconda della civiltà cui si appartiene. Tali regole diverse  permettono  l’apparire e il sopravvivere di quella civiltà e ne caratterizzano le differenze dalle altre civiltà. Ma analizziamo meglio la nostra specie…

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