La formazione può essere declinata in tanti modi diversi. Può essere approfondimento teorico, addestramento, apprendimento, rielaborazione. Vi è una formazione in cui ai partecipanti -operatori, insegnanti, educatori- viene chiesto per affrontare un tema non solo di acquisire nuovi concetti teorici o strumenti concreti ma di apprendere dando voce alla propria esperienza, alle proprie conoscenze e ai propri vissuti.
Affrontare un argomento partendo dalla propria storia professionale, da ciò che accade nel concreto, permette di renderlo più vicino, facendo emergere anche la componente esperienziale, emotiva oltre che razionale. In rete si trovano moltissime opportunità per approfondire delle tematiche, per ascoltare lezioni di ogni tipo. Questa formazione risponde a dei bisogni ma ne lascia scoperti altri.
L’apprendimento non passa solo da nuove conoscenze ma anche dalla rielaborazione delle proprie esperienze con altri colleghi e con chi guida la formazione. Attraverso esercitazioni, spazi di confronto con domande, schede di lavoro, narrazioni è possibile raccontare il proprio sapere rispetto ad una tema, diventando anche coformatori dei colleghi.
Facilitare il racconto, il dialogo, stando attenti a non trasformare la formazione in uno “sfogatoio” ma in una condivisione guidata, attiva nei partecipanti pensieri su una tema e nello stesso tempo crea vicinanza, alleggerimento emotivo, messa a fuoco di eventuali errori con la possibilità di apprendere dall’esperienza vissuta.
Ai formatori spetta l’attenzione alla proposta formativa, al setting, al tema da approfondire ma non solo: essi devono ascoltare profondamente ciò che le persone stanno portando, lo stile del loro racconto, i contenuti ed i modi, perché è proprio ciò che sta emergendo che permetterà un apprendimento. Ciò viene facilitato se i gruppi di formazione non sono troppo numerosi anche se si può ovviare con lavori in sottogruppo che vengono poi condivisi da un portavoce e rielaborati.
Gruppi dove chi è nella stanza fa la differenza con i propri racconti, motivazioni anche fatiche ed è interessante cogliere come ciò diventi uno spazio di messa a fuoco, di rilancio, di apertura con domande che permettano di andare oltre, facendo emergere aspetti nuovi.
In un clima di rispetto e non giudizio può capitare al termine di una formazione di sentirsi dire che gli operatori e gli insegnanti hanno colto nuovi punti di vista, hanno riflettuto su alcuni loro limiti, hanno immaginato possibili cambiamenti e soprattutto si sono sentiti meno soli, più ascoltati, valorizzati per la loro esperienza e non considerati “vasi vuoti da riempire” ma parte attiva.
Come accade nell’arte del kintsugi, la formazione può permettere, attraverso la rielaborazione di alcune parti della propria vita professionale, di ricreare un proprio vaso diverso e nuovo, legato con l’oro della fatica, della condivisione, della creatività invece che un vaso sempre uguale dove qualcuno di esterno mette qualcosa che poi risulta difficile da utilizzare.