“Anche ai camminamenti dicevo buon Natale anche alla neve, alla sabbia, al ghiaccio del fiume, anche al fumo che usciva dalle tane, anche ai russi, a Mussolini, a Stalin.”
Mario Rigoni Stern
Dal giorno dello scoppio di una guerra vicina, che ci coinvolge in ogni modo, che ci segnala pericoli immani che vanno dall’incipiente povertà economica via via crescendo fino alla possibile deflagrazione nucleare, sentiamo più marcate, più evidenti, le linee di confine. Questo Occidente globalizzato rivela le sue aspre chiusure. I suoi fili spinati. Allo stesso modo la parola “migrante” immediatamente delinea il confine fra chi può permettersi di rimanere nella sua terra, parlare la sua lingua, vivere i propri usi, e gli Altri, quelli che sono costretti a prendere un bagaglio qualunque, racchiudervi la vita fino a quel momento vissuta e incamminarsi nel pericolo e nell’incertezza. E ancora la parola “diverso” demarca già un altro modo di vivere, diseguale, inferiore o disturbante, inadatto ai ritmi ritenuti normali, di un popolo. E diverso è il disabile, il povero, l’ignorante, l’omosessuale e chissà quanto potrebbe allungarsi la lista.
Confini, limiti, frontiere. Linee oltre cui non è semplice o consentito andare. Che ci stringono, costringendo le nostre menti e anime nella paura, nella diffidenza, nell’egoismo.
E adesso arriva, come ogni anno, nel nostro mondo Cristiano Occidentale il periodo chiamato Natale. Quel periodo che fu per i Romani “Natalis Solis Invicti” la Festa del Sole Invincibile , che segnava il ciclo dell’anno nuovo.
Per l’occasione natalizia rispolveriamo la parola “bontà”, ci sentiamo in dovere di farlo, se non altro per rispetto delle nostre radici culturali. Quella parola che durante il resto dell’anno è a volte, sarcasticamente, sostituita con “buonismo”, quasi si trattasse di una ridicola malattia dell’anima, per fortuna non trasmissibile, da cui è affetta una quota minima(?) e ininfluente(?) della popolazione. Per fortuna il resto del cerimoniale Natalizio ci offre l’opportunità, eccome, di rinsaldarci nel nostro solito consumismo glamour e appariscente, quello che ci farà comprare di tutto e di più, quando in fondo un quarto di ciò che abbonda nei nostri armadi e nei nostri frigoriferi, potrebbe lasciarci più che soddisfatti.
Anche a Natale arriva notizia che nelle nostre città, anche le più ricche, qualche borderline, qualche migrante, qualche barbone, non resiste a temperature troppo rigide per giacigli di cartone o baracche non riscaldate. Questa è la nostra società, ricca di tutto, anche di controsensi. Quest’anno, però, più che mai, con la guerra, con la pandemia, con la crisi climatica che cresce, la mente e l’anima non possono ignorare quello che accade ed il ruolo che ognuno di noi ha negli accadimenti e, soprattutto, quanto può fare per chi gli vive accanto.
Dobbiamo riempire di contenuti questa festa, al di là dell’appartenenza o meno al Popolo Cristiano. Il Natale diventa un’occasione per renderci conto che quel calore fittizio che cerchiamo nei regali, nelle feste, nell’ubriacarsi di tutto, non può e non deve bastarci. Ognuno deve cercare dentro di sé la scintilla per intraprendere un nuovo cammino dove ignorare le frontiere di qualsiasi tipo e contenuto, trovare occasioni per aprirsi all’empatia con chi gli vive vicino, cercare nuovi modi per esprimere solidarietà.
Perché, come dice Kant, “La solidarietà del genere umano non è solo un segno bello e nobile, ma una necessità pressante, un’essere o non essere , una questione di vita o di morte.”