“Non c’è peggior sordo di chi non vuol sentire”. Questa frase ripetuta spesso per definire chi è volutamente distratto e sentita e in particolare dalle madri che lamentano di non essere ascoltate dai figli, non è solo un’impressione, è una verità. Le ricerche dei neuroscienziati ora ci confermano che in certi momenti alcune aree del cervello è come se si spegnessero. Soprattutto nell’adolescenza.
Gli studi congiunti di ricercatori americani delle Università di Harvard e Berkeley sembrano dimostrare che l’attività cerebrale nelle regioni deputate al controllo emotivo si riduce in modo considerevole, quando i figli vengono fatti oggetto di critiche insistenti. Ciò significa che ragazzi e ragazze chiudono realmente la comunicazione, e dunque l’ascolto, se vengono sommersi da un fiume di parole e da frasi critiche e negative che passano in uno scontro verbale.
Questo ci deve far riflettere sul valore dei richiami insistenti e su quella tipica modalità logorroica di alcuni genitori ed educatori che insistono col sottolineare sempre la stessa cosa. La reazione di chiusura “uditiva” che hanno i figli, sottolineata anche fisicamente dal richiudersi nella propria camera o infilarsi gli auricolari, deve far comprendere che in quel momento la comunicazione non c’è più e che le richieste, qualsiasi esse siano, non saranno accolte perché non percepite. Meglio, dunque, tacere. Fermarsi. Fare silenzio.
Conta di più farsi ascoltare che parlare senza sosta e ripetere all’infinito cose dette e ridette. Di solito anche nelle situazioni di acceso conflitto verbale serve di più interrompere il flusso delle parole, sostare in silenzio per qualche istante che continuare ad urlarsi addosso, con l’illusione di essere ascoltati. Sicuramente fa effetto un silenzio deciso.
Capita ovunque ma in modo particolare in famiglia e a scuola, che oggi la comunicazione sia quanto meno sovrabbondante e confusiva. Si danno troppe indicazioni, infinite prescrizioni poco chiare, quando invece servirebbero poche regole, ma precise. Non si tratta di ritornare ad atteggiamenti autoritari ma di sapere essere efficaci nella comunicazione, ricordando che noi comunichiamo verbalmente, cioè con le parole, solo il 7% di quello che vogliamo far arrivare all’altro. Il resto è comunicazione non verbale, gesti, espressioni del viso, atteggiamenti del corpo.
Significa che la chiarezza delle indicazioni educative passa di più attraverso il modo di essere e l’esempio. Non vi è dubbio che oggi sia ancora più difficile la comunicazione con i figli adolescenti che si isolano con i loro dispositivi. Tuttavia non serve insistere a sottolineare la negatività di tali comportamenti con frasi critiche tipo “Sei sempre il solito” o “Con te non si può parlare” “Stai sempre col cellulare in mano”. Dopo un po’ i figli non sentono e innalzano una barriera invalicabile nella comunicazione. Ma soprattutto capita che le accuse dell’adulto non siano efficaci perché solo verbali in quanto altri sono i comportamenti che utilizza e contraddittorio il suo modo di agire.
Giuseppe Maiolo
Università di Trento
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