Gli scenari familiari che si incontrano adesso dopo la pandemia sembrano contenere tutti un significativo disagio accumulato durante il tempo lungo del lockdown e non ancora metabolizzato. Per certi versi è “normale” che sia così perché l’esperienza che ci ha attraversato non è pari a nessun’altra. Fatica e sofferenza che esprimono gli adulti con i segnali frequenti della tensione e dell’ansia diluita un po’ ovunque nei rapporti sono, allo stesso tempo, narrate in mille altri modi dai minori che evidenziano il disagio con comportamenti provocatori o, in maniera inquietante, con l’incremento di nuove forme di dipendenza.
Qualcuno a questi ragazzi ha già dato l’appellativo di “generazione coronials” quasi a dire che il surplus di atteggiamenti provocatori e violenza, o l’eccesso di imprudenza sono la risultante di un tempo in cui la vita sospesa delle relazioni sociali bloccate, ha messo i ceppi a corpi in trasformazione e colmi di energie. Li ha costretti a stare fermi, dentro le strette pareti domestiche, a contatto costante con quei legami familiari che a questa età vanno fisiologicamente trasformati.
Immaginiamoci cosa possa significare per un ragazzo o una ragazza sentirsi bloccati nelle interazioni sociali in un tempo in cui, ai massimi livelli, c’è il bisogno di muoversi, andare fuori, uscire con gli amici, prendere le distanze dalla famiglia. Vivere l’adolescenza vuol dire attraversare la fase della vita in cui è grande la fame di cose nuove da scoprire, la curiosità verso un mondo da leggere o inventare, e in tutti i modi da esplorare. Invece la pandemia ha azzerato ogni movimento e (quasi) arrestato il processo di trasformazione. Ora probabilmente presenta il conto che potrebbe essere più salato per i bambini e gli adolescenti. Essi, durante il periodo del lockdown hanno intensificato i contatti e le connessioni virtuali col mondo. È accaduto a tutti, ovviamente anche ai grandi, di trovare nella rete compensazione all’isolamento sociale. Ma è altra cosa in età evolutiva, quando per crescere c’è bisogno di relazioni che non siano solo virtuali.
Invece i ragazzi di adesso se non si danno agli eccessi reali quasi a voler recuperare quella lunga inattività fisica, se ne stanno chiusi nelle loro stanze, reduci da un periodo di iperconnessioni assolute che, a differenza solo di qualche anno fa quando il ritiro dal mondo passava attraverso la console dei videogiochi fatti in solitudine, ora li fanno giocare online con altri. Si incontrano e si cercano per divertirsi insieme e simulano in rete relazioni e rapporti che sono lontani dalla dimensione reale. I genitori, una volta preoccupati per le cattive compagnie che li preferivano abulici e apatici nella loro cameretta, adesso temono questo star chiusi dentro la loro stanza a riempire le ore con i diffusissimi “giochi sparatutto” per loro incomprensibili. Ed è un timore giustificato perché è in aumento il ritiro sociale. Però serve capire che la preadolescenza ora non è più solamente “l’epoca delle passioni tristi” ma una fase cruciale della vita in cui c’è fame di emozioni forti che ti riempiono. I videogiochi che circolano e dispensano a piene mani sensazioni inebrianti, sono fatti a posta per soddisfare il bisogno di contatto con il mondo dei pari e per stimolare la competizione, l’agonismo. Per, fortificare, apparentemente, un IO fragile perché quando vinci e fai fuori tutti, ti senti unico, eroe. Super! In realtà questo genere di gratificazioni non ti soddisfano mai.
Ma da questo acuto bisogno di sensazioni intense a cui, in preadolescenza, mancano i freni dell’autocontrollo e dove, soprattutto, sono insufficienti gli adulti capaci di porre regole e confini, nascono gran parte delle nuove dipendenze. Da una eccessiva esposizione a questa realtà e da un’esperienza totalmente virtuale che non fa fare alcun allenamento reale alla vita e alle relazioni, nasce il rischio maggiore per la crescita. Essa, ancora di più oggi, richiede agli adulti e ai genitori attenzione e vigilanza.