È un tempo lungo quello del lockdown, ma ora si comincia a parlare del tempo del dopo, quello della ripresa. Molti però sono gli interrogativi, i dubbi e le domande che affiorano. Riguardano tutti ma in particolare i bambini e il loro rientro a scuola.
Come torneranno a sedere nei banchi, a quale distanza, quali attività da fare? Che le reazioni avranno all’incontro con gli altri dopo un paio di mesi di sospensione e distanza fisica?
Interrogativi necessari perché come tutti noi, anche i bambini possono portare internamente le tracce dello stress prolungato dato dalla quarantena e i motivi dell’angoscia che si è generata. E anche loro hanno bisogno di trovare significati a quello che è accaduto. Più ancora di bisogno di luoghi e persone con cui condividere le esperienze fatte, non tanto l’oggettività degli eventi vissuti, quanto come sono stati attraversati. Hanno la necessità di parlare.
Per questo personalmente temo la decisione di non far tornare a scuola i bambini prima dell’autunno. Temo che la mancanza di un confronto diretto, fisico e corporeo tra loro e con gli insegnanti impedisca di “chiudere” mentalmente il capitolo della quarantena. Basterebbe, con tutte le precauzioni del caso, avere anche una settimana di ritorno al lavoro scolastico per rielaborare quello che è successo e ridare continuità al tempo di ieri, a quello di oggi e del domani che ci attende. Potrebbero servire anche solo pochi giorni di scuola per tentare di ricucire lo “strappo” psicologico dato dalla reclusione forzata a casa e dal distanziamento sociale che ha visto i piccoli privati d’un colpo del loro bisogno di esplorazione e di contatto.
L’ emergenza del coronavirus ha costretto sia famiglia che scuola a reiventarsi, ma ha fatto sì che tutto (o quasi) il processo evolutivo ed educativo venisse sospeso o appiattito nelle relazioni virtuali a distanza. E andare a scuola quotidianamente non è importante solo perché si imparano materie diverse e si cresce sul piano cognitivo, ma perché il confronto con i pari, le relazioni verbali e non verbali vissute a scuola, nei corridoi e nei cortili, sono fondamentali per lo sviluppo affettivo e emozionale. Servono per conoscere gli altri, il mondo che sta attorno, e imparare come affrontarlo.
È necessario un “tempo sociale” da ritrovare e fondamentale pensare e organizzare il rientro. C’è bisogno di preparare un’attrezzatura adatta. Prima di tutto penso che serva evitare di far finta di nulla su ciò che è accaduto, o peggio ancora voler dimenticare. Poi più che completare i programmi scolastici rimasti in sospeso, si dovrebbe dare uno spazio ai timori e alle preoccupazioni che i bambini portano con sé. Aiutarli ad apprendere azioni di auto-distensione utili, se non necessarie, a contenere l’ansia e mettere a disposizione un tempo consistente per le loro narrazioni che, come noto, sappiamo utili e curative.
Non è detto che a casa e in famiglia ci sia stata sempre la possibilità di parlare e mettere in comune l’angoscia. Farlo fuori dalle pareti domestiche ha un grande valore perché i bambini, quando attraversano momenti difficili sia personali che familiari o scolastici, li mettono in atto nelle relazioni che vivono tra pari e le trasferiscono nel gioco con lo scopo di trovare soluzioni al loro disagio.
Così penso che sia compito della scuola del rientro, conoscere bene le strategie della narrazione e del gioco guidato più che riprendere solo l’attività didattica consueta. Giochi e racconti, favole e fiabe opportunamente recuperate dagli insegnanti possono essere utili alla rielaborazione delle emozioni e alla trasformazione dell’ansia. Associando attività immaginative e utilizzo del disegno con altre pratiche manuali, i bambini possono avere anche lo spazio utile ad esprimere liberamente quel loro mondo interno attraversato dagli eventi.