Insegnanti, attenti al burnout!
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La parola burnout ci è diventata familiare. Ormai. Collegato allo stress, sappiamo che si tratta di una risposta individuale alla pressione lavorativa che ti fa sentire  come “bollito”. Non a caso traduciamo questa sensazione di acuto malessere con l’espressione comune “Sono cotto!” quando a fine giornata lavorativa ci siamo dovuti misurare con una quantità di impegni e numerose tensioni.

Secondo alcune ricerche la scuola è uno dei luoghi più esposti a questo pericolo, dove gli insegnanti rischiano alti livelli di burnout, quando non riescono a gestire adeguatamente il proprio stato emotivo  e non hanno strumenti  fronteggiare lo stress professionale.

Arianna Ditta, ricercatrice psicologa, in uno studio di un paio di anni fa, ha posto in evidenza questi aspetti indicando in particolare come la professione dell’insegnante sia tra quelle che si trova ad affrontare in misura sempre crescente situazioni stressanti. Lo conferma tra gli operatori della scuola l’aumento di manifestazioni psicosomatiche e disturbi di ansia generalizzata.

Però gli aspetti più significativi del burnout, i cui sintomi fin dall’inizio non vanno assolutamente sottovalutati, sono rappresentati da consistenti manifestazioni di stanchezza fisica ed emotiva, sentimenti di frustrazione che producono passività nel comportamento e diffusa apatia nei confronti dei rapporti con gli altri.

I fattori che producono questo malessere possono essere diversi. Tra questi vi è certamente un eccessivo carico di lavoro che affligge i docenti, limitati riconoscimenti delle funzioni esercitate e retribuzioni inadeguate, ma va aggiunto anche un preoccupante aumento di episodi di violenza nei loro confronti da parte di genitori e studenti. Poi influisce non poco il complesso rapporto educativo insegante-allievo, la difficile gestione della disciplina, una deficitaria motivazione all’apprendimento da parte degli studenti a cui si aggiunge la perdita di autorevolezza del docente.

Ma la ricerca ha anche messo in evidenza quanto il burnoutsia collegato a fattori di natura organizzativa nell’istituzione scolastica la quale, in genere, offre un limitato sostegno psicologico e uno scarso supporto dei colleghi e dei dirigenti. Da qui il senso di diffuso isolamento che viene sempre percepito da è affetto da tale sindrome e quella distanza emotiva, detta depersonalizzazione, che si manifesta con comportamenti di freddezza e indifferenza.

Molti episodi di comportamenti violenti nei confronti dei minori da parte degli insegnanti, potrebbero appartenere proprio agli effetti del burnoute a quell’esaurimento emotivo che rende incapaci di empatizzare. Generalmente non ha alcuna consistenza il sospetto che nelle nostre scuole vi siano docenti dediti alla violenza che rende necessario l’utilizzo delle telecamere per tutelare i minori. La realtà dei fatti è molto più vicina ad un incremento di malessere e agli effetti nocivi dello stress patologico e del burnout.

Molto più urgente allora, per fronteggiare lasindrome di burnout,èdare ai docenti sia nel corso della formazione iniziale alla professione che durante tutta la carriera,  strumenti precisi per controllare lo stress da lavoro correlato e promuovere azioni formative utili alla gestione delle emozioni e delle relazioni.

Decisamente più funzionale a garantire il benessere a scuola e proteggere gli insegnanti da questo disturbo, sarà tentare di promuovere una rete efficace di supporto psicologico che sfrutti competenze esterne di specialisti ma anche interne alla scuola. Potrebbe, ad esempio, servire molto la formazione di gruppi di colleghi attrezzati a riconoscere precocemente le situazioni di disagio e sostenere chi le manifesta.

Giuseppe Maiolo

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