Tra i dati più sconfortanti che riguardano la violenza verbale online c’è l’elevato numero di italiani, il 68% secondo Eurobarometro, rassegnati alla presenza di questo fenomeno ormai considerato un nuovo modo di comunicare ai tempi di internet.
Siamo anche il Paese in Europa in cui la percezione della discriminazione è più elevata, indice che nel discorso pubblico – ancor più che nell’informazione – sono frequenti pregiudizi, quando non esplicite manifestazioni di intolleranza nei confronti dei “diversi”. Ed è proprio nei contesti in cui la qualità dell’informazione è bassa che proliferano discriminazione e odio verso Rom, migranti, Lgbt, disabili, donne, appartenenti ad altre confessioni religiose.
Se poi il leader politico di turno rilancia, giustificandoli e appoggiandoli, lo sdoganamento è sicuro e la circolazione dei messaggi d’odio esce dalla marginalità per conquistare la piazza, reale o virtuale che sia. Siamo tutti testimoni, a questo proposito, di un preoccupante effetto palla di neve. Se prima tali atteggiamenti e linguaggi venivano condivisi in privato, in ristrette cerchie di persone, ora non solo sono pubblici ma si auto-alimentano nelle larghe comunità social, dove la libertà di espressione si traduce spesso in libertà di insultare, di offendere.
E non c’è destra o sinistra che si salvi. Dall’Osservatorio italiano sul diritto (Vox) sappiamo che nel 2020 si è registrata una “forte radicalizzazione” dell’odio online, che ormai viene considerato endogeno al fenomeno social. In sostanza, ci sono tutti i segnali di un allarmante avanzare dello hate speech (linguaggio d’odio) che prepara il terreno ad una narrazione dell’intolleranza capace, secondo Amnesty International, di liberare energie negative e mutarsi in azioni violente contro le vittime di turno. Come dire, dalle parole ai fatti.
Se questi sono a grandi linee i contorni del fenomeno, meritano attenzione i dati recentemente pubblicati dall’Astat sull’uso dei media in Alto Adige (2021). Per la prima volta l’indagine, svolta con cadenze più o meno regolari sull’ascolto radiotelevisino degli altoatesini e ora ampliata, si arricchisce di una nuova sezione: i messaggi d’odio e la diffusione di contenuti offensivi e imbarazzanti online.
Si apre così una sorta di osservatorio che, se indagato con metodo e costanza (speriamo), può permetterci di monitorare localmente il fenomeno. Dalla rilevazione sappiamo che nella nostra provincia gli utenti di internet dai 14 anni in su per la maggioranza (56%) e senza distinzione di genere si imbattono in messaggi d’odio, vuoi spesso o più raramente.
Ne è interessata soprattutto la fascia d’età tra i 20-34enni, cui seguono i 14-19enni. “Essere vittima di violenza in rete – vale la pena citare un estratto dall’indagine – riguarda soprattutto le persone giovani e, in particolare, i 14-19enni. Il 22% di questi ultimi dichiara di aver ricevuto via internet messaggi di odio e il 15% afferma di essere stato diffamato attraverso la diffusione sul web di contenuti di testo, foto o video falsi, offensivi o imbarazzanti”. In questi numeri ci sono fenomeni di bullismo che ben conosciamo e un rapporto malato nella relazione con l’altro, di cui famiglia, scuola, istituzioni devono farsi carico.
Il fatto che si tratti di dati non allarmanti per quanto ci riguarda da vicino, non deve affatto sollevarci dalla responsabilità di agire. Nella rete, senza volerla demonizzare, il rumore di fondo del linguaggio d’odio è sempre più forte, tanto da liberare parole fino a ieri stigmatizzate a livello sociale perché offensive e, con esse, la carica di violenza di cui sono portatrici.