Quando Prometeo (colui che riflette prima) compì il folle e generoso gesto di donare il fuoco ai poveri mortali, già aveva pre-visto che dal suo dono sarebbero scaturiti mille e più vantaggi per una umanità, fino a quel momento, certo, ancor più dolente.
E’ possibile contare le scintille di una brace ardente? Così è quasi impossibile enumerare le conseguenze vantaggiose di quel dono, ma una ce n’è che sarebbe andata a sollecitare, ancora una volta, l’inventiva umana, la capacità di trasformare, di fare arte.
Con bellissima parola, dal greco antico pyr=fuoco e grafos=scrivere, si definì allora pirografia l’arte di incidere sul legno, cuoio e tanti altri materiali. Tecnica che, in semplicità, impreziosiva cose di uso quotidiano.
E’ forse per questo che, la pirografia non rientrò nel novero delle arti “maggiori” come pittura e scultura, ma rimase un’arte tribale minore, intesa a decorare i più vari oggetti dagli utensili da cucina agli strumenti musicali, ricordiamo le zucche secche usate come vasi domestici. Tecnica essenziale, l’arte di incidere con una punta incandescente un tracciato eseguito su legno, cuoio, sughero od altro, ha accompagnato per secoli l’inventiva dell’uomo. Col fuoco si scavavano perfino le piroghe, e una ipotesi fa derivare il nome di queste imbarcazioni da πὺρ “fuoco.
Si suppone che l’incisione col fuoco sia stata praticata da un vasto numero di culture antiche, compresi gli Egizi, alcune tribù dell’Africa e del Sud America. Secondo Kathleen Menendez del Museo dell’Arte Pirografica, l’esempio più antico che si ha in Pirografia è un contenitore decorato con fiori e colibrì trovato in Perù, uno dei principali luoghi di nascita della Pirografia.
Nel Medioevo furono stemmi di produzione o sigilli di famiglia ad essere incisi con questa tecnica; in Occidente in particolare, per imprimere marchi a fuoco su prodotti di largo consumo. Ed è a partire dal Medio Evo europeo che la pirografia ha assunto la forma di vera arte. A dimostrarcelo c’è il principe delle incisioni, cioè Albrecht Durer che nella sua produzione ha dato spazio a incisioni su legno eseguite con attizzatoi a fuoco. E dopo di lui Rembrandt e perfino Picasso, si sono cimentati con questa tecnica artistica.
Anche in Italia, le origini dell’arte pirografica si fanno risalire al Medioevo. Ricordo qui il “Coro ligneo” della Basilica di Bergamo. Esempio di grande abilità artistica, l’intarsiatore bergamasco Giovan Francesco Capoferri, nel 1527, su disegni di Lorenzo Lotto (1480–1556), realizza 36 pannelli intarsiati e pirografati, arricchiti da grafismi, giochi chiaroscurali e ombreggiature a fuoco sfumate, esprimendo così un altissimo grado di conoscenza della tecnica pirografica.
I Cabili, i Touaregs dell’Africa del Nord, i popoli dell’Europa Centrale e dell’America del Sud decorano ancora oggi con incisioni di punte incandescenti i loro vasellami, i loro oggetti ed i loro idoli.
Il XX secolo infine, con la scoperta dell’elettricità, rivoluziona lo strumento con cui scrivere col fuoco: nasce il moderno pirografo. Ciononostante la tradizione artistica pirografica si è affievolita e non sono in tanti, oggi a praticarla, mentre la pirografia merita d’essere ripresa come attività creativa e deve essere considerata senz’altro un’arte, un mezzo d’espressione e forse qualcosa di più, come mi rivela Cinzia, la giovane artista che ho incontrato a Trento nel suo atelier.
- Cosa si richiede per praticare quest’arte?
- Idee chiare, polso fermo, visione d’insieme. E infinita pazienza.
- – E’ diverso incidere col pirografo dal disegnare con strumenti tradizionali?
- Sì, in qualche modo, sì. Quando la punta del pirografo tocca il legno e lo brucia, ho la sensazione di esprimere tutta la mia forza, come a voler dire “io ci sono”, probabilmente il calore e il fuoco hanno questo potere di risvegliare il nostro Io interiore.
- Non avviene così anche con la matita o il pennello?
- No. La punta del pirografo viene deviata facilmente dalle venature del legno ed è necessario avere molta attenzione e presenza per dirigere il tratto nel punto che vogliamo, qui si rafforza anche la volontà . Lavorare con il legno può diventare una vera e propria forma di terapia … Vedi, questo materiale mi riporta indietro nel tempo, alla lentezza, alla vita a passo d’uomo. Maneggiarlo porta un calore interiore, il suo profumo rimanda a cose semplici, genuine, il rumore che produce nelle varie fasi di lavorazione esprime naturalezza ed umiltà; anche la vista è appagata da una sensazione di serenità e protezione. Secondo me, è un sollievo per tutti i sensi. Per me, la pirografia, esercitata nella ricerca del bello, permette di esprimere la propria presenza e restituisce forza e centratura. E’ un’azione di bruciatura del legno che, tramite il fuoco, il calore, trasforma il materiale portandolo ad uno stato diverso, agendo su di esso. Per ottenere tutto questo sono necessarie attenzione e presenza, elementi fondamentali per mantenere un buon equilibrio interiore.
- Una tecnica particolarmente attenta alla salute dell’anima, allora?
- Penso proprio di sì.