È difficile immaginare il dramma che vive un artista quando percepisce il progressivo deterioramento del senso che, più di ogni altro, è indispensabile per la sua arte che è la vista.
La perdita della vista ha modificato la vita professionale di molti dei grandi artisti che hanno dovuto adattarsi alla menomazione, modificando stili e tecniche.
Giovanni Francesco Barbieri – detto il Guercino – monocolo perché affetto da strabismo congenito, compensava l’assenza del senso di profondità (stereopsi) con l’uso sapiente delle sfumature dei colori con le quali riusciva a dare all’osservatore un senso di prospettiva ai suoi quadri, quando nella sua visione, tutto era piatto e privo di profondità.
Come non citare il caso estremo di Charles Meryon, daltonico, costretto ad abbandonare la pittura (famoso il suo “Il vascello fantasma”) e passare all’incisione. La limitazione visiva non gli impedì di esprimersi con precisione ed effetti straordinari, raggiungendo livelli di massima espressività e grandezza.
Goya, avvelenato dal piombo, rappresenta nelle sue opere il lato oscuro dell’animo umano. Contrasse il saturnismo probabilmente perché era solito inumidire con la bocca i colori che all’epoca erano fatti con il piombo. Oltra alla sordità e ai gravi disturbi psichici, il saturnismo gli procurò scotomi, neuriti ottiche e paralisi dei muscoli oculari.
Quanto l’arte deve agli handicap fisici e alle patologie psichiche? Esisterebbe la straordinaria arte di Van Gogh se il suo medico dottor Gachet non gli avesse prescritto la digitale per curare gli attacchi di cui soffriva dalla nascita, associati a disturbi bipolari della personalità? La xantopsia (visione di macchie gialle) di Van Gogh da assunzione di digitale purpurea, usata per curare le sue patologie, è costantemente rappresentata nelle sue opere in cui il giallo è protagonista.
L’artista alternava periodi di frenetica attività artistica a lunghi periodi di depressione e di inattività. Durante la fase maniacale dipingeva decine di opere. In molte delle quali dominava il colore giallo. La stessa “Notte stellata” pare fosse stata dipinta durante un periodo in cui la retina era interessata da edema con conseguente visione di aloni intorno alle luci.
Edvard Munch, espressionista autore del famoso “L’urlo”, scrive di se stesso descrivendo l’alternanza tra follia e lucida riflessione che ha caratterizzato tutta la sua esistenza: “La mia arte ha le sue radici sul perché non sono uguale agli altri. Ho dovuto seguire un sentiero lungo un precipizio, una voragine senza fondo. Qualche volta ho lasciato il sentiero per buttarmi nel vortice della vita”.
Egli stesso, ipovedente fin dalla nascita nell’occhio sinistro, ha sofferto di emorragie vitreali nell’occhio destro. Tale menomazione lo costrinse a smettere di dipingere per un lungo periodo. Con precisione e accuratezza disegnò i sintomi visivi come macchie scure e filamenti (miodesopsie). In questo modo gli fu possibile controllare l’andamento della malattia: fu l’antesignano della autodiagnosi.
Anche l’opera di Claude Monet ha subìto profondi cambiamenti nel corso della sua vita artistica. Nelle opere eseguite prima dell’intervento per cataratta nel 1923, prevalevano il giallo e il rosso ed erano sostanzialmente caratterizzate dalla perdita del dettaglio. Pur lasciando intatto il fascino della rappresentazione cromatica, i suoi quadri hanno conosciuto una radicale trasformazione. Quello che era l’effetto filtrante e dominante sulla luce della cataratta, ha lasciato spazio ad una produzione in cui i colori freddi (blu e viola) erano costantemente presenti. Il maestro chiedeva ai suoi assistenti di posizionare i colori sulla tavolozza nello stesso posto affinché non avesse difficoltà nella scelta.
Edgar Degas, impressionista francese del secolo scorso, ha dovuto affrontare una progressiva perdita della capacità visiva dovuta ad una grave forma di maculopatia. Le sue opere, incredibilmente dettagliate, specie nella rappresentazione dei volti, perdono progressivamente l’originaria precisione, fino a diventare indistinti con il sopraggiungere della cecità.
Nota è la miopia di Paul Cèzanne, ma altrettanto nota la sua repulsione per gli occhiali. Così i paesaggi tanto cari della Provenza, così frequenti nella sua produzione, risultano inevitabilmente indistinti a causa della limitazione a vedere chiaramente per lontano. Le case diventano volumi senza finestre. La sua attenzione si spostò da ciò che si vede con gli occhi, alle risorse dell’immaginazione.
La sua predilezione va ai ritratti, alle nature morte e agli oggetti vicini. Quanto di questi artisti che consideriamo universalmente gli ispiratori di nuove tendenze pittoriche o rivoluzionari corsi artistici, è, in realtà, frutto di un adattamento necessario a malattie che hanno modificato la loro sensorialità? Quanti drammatici cambiamenti sono stati adottati, più o meno consapevolmente, da tanti geni pittorici per compensare deficit funzionali e psichici che diversamente avrebbero comportato la fine della loro produzione artistica?
Oggi saremmo certamente più poveri perché privati di capolavori che hanno fatto la storia dell’arte.