La scuola ai tempi del Covid
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Alle migliaia di acronimi in cui nuota la scuola italiana (PTOF,POF,PEI,PAI,PDP e si può andare avanti all’infinito), se ne è aggiunto un altro: DAD, didattica a distanza

La DAD ha sconvolto improvvisamente la quotidiana routine scolastica non solo dei docenti, ma
soprattutto degli studenti e delle loro famiglie. Dire che eravamo tutti impreparati è dire poco. Siamo passati da “ Stai fermo, voltati, non dondolare sulla sedia;” “Prof, posso uscire? “ a “Ragazzi, ci siete tutti?”  “Accendete le teleca mere! ” “Prof, non mi fa entrare, non posso connettermi perché ho finito i giga, raga smettetela, non mi “mutate” il microfono!”

Ma al di là del disorientamento dei docenti che hanno dovuto reinventarsi il modo di fare scuola, chi veramente è stato colpito sono gli studenti. Da un primo momento di divertimento ( che bello, non si va a scuola!) ad una fase di confusione  ( non ci capisco più niente, ma domani dove ci colleghiamo?), al vero e proprio rimpianto ( prof, non avrei mai creduto di poterlo dire, ma la scuola mi manca proprio! Mi manca stare coi miei amici, ridere, fare gli scemi!) Osservandoli dall’esterno, dobbiamo riconoscere che

molti di loro sono davvero cambiati. Sono saltati tutti i ruoli, il più imbranato della classe lo ritrovi serio, il primo a collegarsi con le cuffie professionali. I più desperados non hanno un pubblico davanti al quale esibirsi ed escono dal personaggio dei bulli della scuola. Le più diligenti scopri che non accendono la telecamera perché in realtà sono ancora in pigiama!

Ma non possiamo dimenticare il terzo vertice del triangolo che costituisce la scuola: le famiglie. I genitori si sono trovati davanti ad un autentico choc. Improvvisamente i figli erano sempre presenti, ciondolanti per casa, attaccati più di prima ai loro cellulari con whatsApp  rovente ( in quel caso i giga non mancavano
mai! ) o impegnati in interminabili sfide su videogiochi che rincretiniscono il cervello, questa però è un’opinione del tutto personale.  Ho avuto diretta testimonianza di come si sono sentiti impreparati difronte a tutto ciò, di come abbiano rivalutato l’importanza della scuola non solo come luogo dove si impara ma soprattutto come luogo dove delegano parte dell’educazione dei loro figli.

Tante cose questo periodo ci ha insegnato, ma soprattutto che della scuola i ragazzi hanno bisogno, un bisogno fisico di stare insieme, di comunicare, di toccarsi. Perché la scuola non è solo imparare delle conoscenze, ma soprattutto imparare le regole della convivenza. Imparare a pensare e a sviluppare la propria intelligenza. Mi sento di condividere in pieno l’aforisma di Umberto Eco “ il computer non è una macchina intelligente che aiuta le persone stupide; anzi, è una macchina stupida che funziona solo
nelle mani di persone intelligenti”.

Le frasi riportate son esattamente le parole che, a imperitura memoria, conservo nella chat della classe.

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