Mascherarsi, ovvero l’arte di nascondere e svelare
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“Ogni uomo mente, ma dategli una maschera e sarà sincero” dice lapidario Oscar Wilde (Aforismi, Feltrinelli). Pur nella evidente provocazione Wilde dice il vero perché descrive in modo efficace la funzione della maschera che, in maniera ambivalente, nasconde e rivela, altera la realtà e la mette in mostra facendone vedere le parti nascoste, o per meglio dire, inconsce.

Vecchia quanto il mondo, la maschera ha da sempre trovato posto nel teatro e dato origine a riti collettivi, come il Carnevale che nella tradizione cristiana precede (carnes levare= togliere la carne) i digiuni quaresimali. Ma le maschere del Carnevale risalgono ai saturnali che erano feste pagane e orgiastiche. Rappresentavano il passaggio dal vecchio al nuovo, dal buio alla luce e annunciavano la trasformazione e il rinnovamento cosmico della primavera imminente.

Fase pertanto caotica e permissiva questi riti in onore del dio Saturno erano caratterizzati da comportamenti estremi e dai piaceri del corpo che alludevano alla liberazione delle energie pulsionali e profonde presenti nel sottosuolo della coscienza. Atmosfera di libertà estrema possibile ad esempio con la copertura del volto. Appunto con le maschere.

Per questo i latini dicevano che a Carnevale, e per un tempo limitato, era concesso andar fuori di senno, travestirsi e far emergere le parti meno lucenti, sataniche o mostruose che si tengono nascoste, anche a se stessi.

E non è un caso che ancora oggi le maschere più comuni nei travestimenti “carnascialeschi”, siano diavoli e orchi, streghe o mostri inquietanti. Caricature eccessive di cartapesta, si dirà, provocazioni inaccettabili in altri momenti perché fatte con abiti paradossali e improponibili nella quotidianità, ma che sembrano consentire o autorizzare ciò che normalmente è vietato.

Di fatto, mascherarsi vuol dire travestirsi per provare sembianze diverse e dare corpo ad altre verità, a desideri repressi oppure esorcizzare paure, incubi e aspetti negativi che ci portiamo dentro.

La maschera che Carl G. Jung evidenzia nel suo cercare significati psicologici all’esistenza umana, è quella che i latini chiamavano “Persona” e nel teatro antico veniva sempre indossata dagli attori prima di entrare in scena. Con essa si nascondeva il vero volto dell’attore che mostrava ciò che gli altri potevano vedere mentre nascondeva le parti interne che restavano in ombra.

E allora la maschera può rappresentare ciò che vogliamo da mostrare al mondo per essere accettati o quello che pensiamo la società possa accettare, la facciata rispettabile e rispettosa delle convenzioni. Nella quotidianità potrebbe essere il ruolo sociale che abbiamo, il copione da recitare e il modo con cui vogliamo apparire agli altri.

Di certo la maschera nasconde perché copre il volto, ma allo stesso tempo può anche affermare un Sé diverso e difficile da comunicare, inespresso e inesprimibile.

Impossibile per tutti non indossare una maschera nella vita, ma forse provarne una nei giorni di carnevale, anche se non modifica nulla a chi la indossa, può essere il modo con cui provare a uscire da quei ruoli rigidi cha abbiamo assunto o allentare la “corazza” sociale entro cui ci siamo ingessati.

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