Se vieni a sapere che un gruppo di adolescenti in un Istituto superiore della Brianza scaglia contro la propria insegnante oggetti vari e finanche sedie, ti domandi cosa sta accadendo a scuola. Quando poi negli stessi giorni leggi che un bambino di 7 anni a Firenze, va in classe con un coltello e dà una testata alla maestra mandandola all’ospedale con la frattura del naso, ti chiedi che nome si può dare a tali comportamenti e come si spiegano.
Per definirla prendiamo a prestito la parola “bullismo”, ormai tristemente di moda, ma non è la definizione corretta perché indica comportamenti di prepotenza e di offesa fisica o psicologica tra i pari. A prescindere da questo, ciò che conta è il significato che sta dietro la violenza verso gli adulti. Vien da dire subito che bambini e adolescenti la respirano ovunque e la ripropongono dopo averla ampiamente metabolizzata. Una violenza che narra quanto le relazioni interpersonali oggi siano divenute problematiche e i conflitti emergano sovente da un sottosuolo di rapporti familiari critici.
In particolare però la violenza dei minori sugli adulti ci dice che l’educazione ha fallito il suo compito. Hanno fallito gli adulti di riferimento incapaci di essere modelli positivi. Ha fallito la famiglia permissiva quando chiama “bravate” le prepotenze e i comportamenti offensivi dei figli e giustifica oltre misura ogni loro azione. Ma ha fallito anche la scuola che non è stata capace di riconoscere precocemente gli atteggiamenti violenti degli allievi e proteggere le vittime. E poi fallisce in continuazione quando non sanziona con severità tutte le aggressioni che si manifestano negli spazi scolatici o quando non inserisce nel progetto formativo l’educazione al rispetto e alla legalità e la necessaria consapevolezza digitale, che adesso veicola la gran parte delle forme aggressive.
I bambini e gli adolescenti di oggi non sanno governare i loro stati d’animo e sono quasi analfabeti sul piano delle conoscenze emotive, ma spesso hanno a fianco adulti mancanti in quanto educatori. Mancano purtroppo i genitori normativi, capaci di mettere regole e confini e in grado di farli rispettare. Mancano, a casa come a scuola, adulti autorevoli capaci di usare le punizioni come strumento formativo utile e far comprendere la relazione tra un’azione e le sue conseguenze.
Dalla permissività della famiglia alla debolezza formativa della scuola il passo è breve e questa esplosione di violenza mostra una comunità educante distratta e inefficiente che collude con quei figli-allievi piuttosto che esserne guida. Se i modelli di riferimento sono genitori che insultano, offendono o minacciano gli insegnanti, forse non possiamo aspettarci altro. Ma accade altrettanto se a scuola non si costruiscono autentiche alleanze con la famiglia e non si sviluppa la coscienza comune che i ruoli paritari non fanno crescere, ma al contrario confondono.
A guardar bene questa violenza sugli adulti sembra essere la risposta disorientata di tutti quei minori che non sanno più distinguere né rispettare i ruoli che ci dovrebbero essere in famiglia e a scuola, che non riconoscono l’autorità di chi ha funzioni educative in quanto sono gli adulti per primi ad aver abdicato a questo ruolo e aver azzerato da tempo il valore simbolico di questa parola.
Giuseppe Maiolo
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