Ritratto di un cyberbullo
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Quando si guarda allo specchio il cyberbullo vede la sua immagine enorme, potente, dotata di forza e sicurezza. Lo è, o almeno appare, ma sovente è per compensazione perché al di fuori del territorio virtuale è invece debole e fragile, non di rado vittima di aggressioni, agnello braccato dai lupi cattivi. In rete il bullo digitale si trasforma in “angelo vendicatore” o almeno assume questo ruolo per esercitare un potere che nella realtà non possiede. Si vendica di chi gli ha fatto subire torti, o li ha inflitti a qualcuno che gli è caro. Il mezzo, ovvero la rete e quel piccolo, potentissimo aggeggio che sta nel palmo di una mano e può sfilare dalla tasca quando vuole, lo trasforma, gli fa cambiare sembianze, lo fa sentire invincibile e in grado di fare qualsiasi cosa senza esporsi troppo, senza doversi coprire il volto o mascherare. Garantito dall’anonimato, colpisce duro, a volte ferisce a morte, soprattutto se si allea con altri bulli e ne condivide il piacere della persecuzione. È convinto che le sue aggressioni in internet siano motivate dalle sofferenze patite e dal fatto che i colpevoli sono rimasti impuniti.

Ma c’è anche il cyberbullo che assume questo ruolo perché vuole potere e controllo. Sapere che attorno a lui, ad osservare le sue imprese, ci sono ammiratori, sostenitori e complici che vedono e non parlano, lo rassicura e lo fa sentire “potente”. Poi c’è il bullo digitale che offende e aggredisce per noia e per passatempo. Non ha un motivo specifico. Fa un po’ come quei ragazzi che una volta si “divertivano” a lanciare i sassi dal cavalcavia. Non c’era mai una ragione precisa, se non quella di vedere cosa poteva succedere e quanta adrenalina entrava in circolo.

Il ogni caso il cyberbullo ha sempre la consapevolezza che può raggiungere la sua vittima in ogni luogo e in qualsiasi momento perché non ha bisogno di cercarla o aspettarla da qualche parte. Non deve faticare a inseguire la sua preda e braccarla di nascosto come nel bullismo reale.  Sa che può colpirla quando ne ha voglia, senza spostarsi, rimanendo tranquillo davanti ad un display che, come una finestra aperta, gli dice dove si trova chi vuole colpire. Da quella postazione controlla e lancia le sue frecce avvelenate. Sa che il suo bersaglio è sempre nel mirino perché ha un telefonino acceso ed è sotto tiro h24 perché iperconnesso.

 

Al cyberbullo non serve la forza fisica e neppure una particolare energia. Non  ha bisogno di fare qualcosa di particolare per mostrarsi al mondo e farsi bello, capace, importante. Gli basta una piccola pressione dei pollici e ha un’infinità di spettatori che lo ammira e gli rimanda le conferme che non ha avuto da nessuno e quell’attenzione che ha sempre cercato, senza la quale non è potuto diventare sicuro e forte.

Di solito non è uno stupido, il bullo digitale, anzi è bravo, competente, tecnologico. Forse anche lì si considera in eccesso, un po’ troppo sicuro di muoversi in rete immaginandosi in totale anonimato mentre non sa esattamente che nel web si lasciano tracce dappertutto. È però forte perché sa camuffarsi e assumere altre sembianze, clonare la sua immagine in tanti altri avatar che lo duplicano senza farlo riconoscere e, allo stesso tempo, gli sottraggono remore morali e sensi di colpa, dispiacere e vergogna.

Giuseppe Maiolo

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