Ha sorpreso il ministro della Repubblica che esalta l’umiliazione come riscatto per i bulli e la definisce fattore fondamentale della crescita. Anche le scuse successive con cui ha ammesso di aver usato “un termine inadeguato”, non hanno ridotto lo stupore che l’umiliazione sia metodo educativo utile a correggere le azioni violente e inaccettabili di un bullo.
Forse l’uscita infelice del Ministro dell’Istruzione e del Merito è dovuta alla scarsa competenza psicologica e pedagogica di molti politici chiamati ad occuparsi di problematiche complesse come quelle educative, tuttavia è necessario riflettere sul significato della parola “umiliare”, verbo che dipende da come si usa.
Derivato dal latino tardo “humilis”, umiliare indica il gesto di abbassare il capo in segno di rispetto (Treccani, vocabolario online). È umile chi lo fa in quanto contiene la superbia e riconosce la propria pochezza. Ma provare umiltà è diverso dall’umiliare, che vuol dire attaccare esplicitamente una persona, schiacciarla per terra e farla vergognare per ciò che ha fatto.
Il sentimento dell’umiltà si forma con una educazione al rispetto e si sviluppa con il senso di responsabilità e la consapevolezza dei propri limiti. Invece l’umiliare è azione mortificante che va a ledere la dignità di chi viene colpito. Non corregge se hai commesso qualcosa di offensivo e non ti spinge a “chiedere scusa”, ma ti annulla. Non riabilita e non educa: fa sentire sconfitti. Umiliati per l’appunto!
Non fa capire gli errori, ma svuota e impedisce di trovare le risorse per riparare. Per saper dire scusa bisogna essere educati prima o ri-educati, ma non con l’umiliazione. Chi viene umiliato, anche in maniera sottile, con la forza devastante delle parole che feriscono a volte più delle percosse, si sente azzerato nella sua dimensione umana, senza dignità e paralizzato dalla vergogna.
Si tratta, insomma, di un sentimento devastante, più dannoso che utile. Lo prova chi subisce violenza fisica, sessuale ma soprattutto psicologica. Capita ai bambini maltrattati dagli adulti, a partire da quando vengono ridicolizzati in pubblico per qualche comportamento inusuale o da correggere. Succede alle donne, a tutte quelle che subiscono la brutalità dei partner violenti, umiliate dalla derisione, dalla denigrazione e dalla svalutazione.
Però l’aspetto più significativo è l’idea comune, tutt’ora diffusa, che per correggere un comportamento negativo sia necessario far vergognare, quando invece non è educativa la gogna, cioè l’essere esposti al disprezzo altrui, anzi è una tortura mortifera che non è di esempio a nessuno. In più l’umiliazione rischia di essere traumatica e lasciare segni profondi.
Sembrano dimostrarlo alcuni studi di neuroscienziati, uno del Dipartimento di Psicologia sociale dell’Università di Amsterdam (M. Otten & K. Jonas 2013), che evidenzia quanto l’essere umiliati sia esperienza emotiva intensa, molto di più della rabbia, in grado di attivare aree corticali per un tempo lungo che può produrre conseguenze traumatiche di vasta portata.