Tollerare vuol dire costruire rispetto e gentilezza
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Tollerare è un verbo impegnativo che indica la capacità di contenere le reazioni avverse di alcuni alimenti che l’organismo non metabolizza e, per estensione, sopportare i pesi della vita, cioè resistere nelle situazioni difficili e gestire le emozioni spiacevoli. Ma anche accettare le differenze altrui.

Nelle interazioni personali, soprattutto, la tolleranza a volte viene confusa con la “neutralità” o con la non-interferenza nella vita degli altri che assomiglia molto all’indifferenza. Invece si tratta di cose diverse perché tollerare non è passività e vuoto di partecipazione affettiva ma accettazione dell’altro, disponibilità aperta alla sua comprensione, sforzo per contenere il pregiudizio, sempre in agguato.

In altre parole è tollerante chi nell’ambito dei rapporti, usa modalità costruttive, sa ascoltare con partecipazione e osserva con attenzione. Chi lo sa fare, pur con impegno e sforzo personale

è in grado di relazionarsi con rispetto e gentilezza, coopera e condivide anche quando le visioni personali non coincidono o le rappresentazioni della vita sono opposte alle proprie.

La tolleranza va ben oltre le specifiche appartenenze che, come sappiamo, possono riguardare la razza, la lingua, l’orientamento sessuale, le credenze religiose o altro ancora. È un’erba da seminare e coltivare prima di tutto a livello educativo e che riguarda i compiti di tutti, della famiglia, dei genitori, della scuola e della comunità educante.

In fondo essere tolleranti vuol dire avere come dotazione di base la fiducia negli altri con cui è possibile mantenere un atteggiamento positivo nei confronti delle intenzioni e dei comportamenti altrui anche quando non appartengono al proprio modo di intendere la realtà. Significa non essere prevenuti e avere sicurezza e fiducia in sé stessi, quella che può provenire dal tipo di attaccamento e da quella base sicura che si sperimenta nella relazione affettiva dei primi anni di vita (G. Attili, Attaccamento e amore, Il mulino)

Molti studi hanno dimostrato che i bambini tolleranti provengono da famiglie il cui stile educativo non è punitivo né repressivo, ma nemmeno permissivo. È caratterizzato da una forte partecipazione affettiva e da una attenta presenza che rassicura, senza essere soffocante, e promuove il rispetto delle regole senza ricorrere a minacce e punizioni severe. La tolleranza si “costruisce” dando valore al limite e confini dell’agire, ma dove è assente la paura dell’altro e la diffidenza.

Questi ultimi sentimenti, se fuori controllo invece, alimentano l’intolleranza e l’aggressività perché la sensazione di pericolo attiva la “proiezione” cioè un potente meccanismo di difesa che fa percepire l’altro come violento al quale attribuire le “proprie” intenzioni malevoli.

Educare alla tolleranza durante la crescita, vuol dire dare spazio all’espressione delle emozioni e alla gestione dei sentimenti. Si diventa tolleranti se fin da piccoli si respira un clima di attenzione alle idee e ai bisogni altrui e se ci sono attorno adulti capaci di aiutare a superare la dicotomia tra «buoni» e «cattivi» ma anche l’idea manichea che il bene stia solo da una parte e il male dall’altra.

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