Ansia. L’inquietante compagna dell’uomo moderno
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La parola ansia ci appartiene come disturbo e stato di disagio. In genere lo è perché l’etimo latino “ango” da cui deriva significa “stringere e soffocare”. Ansia e angoscia, che hanno la stessa radice, rimandano infatti alla sensazione intensa del sentirsi soffocati, stretti al collo, in pericolo per qualcosa che non si conosce.

Di fatto l’ansia ti assale e non sai la ragione perché è paura senza un oggetto, allarme senza un motivo apparente, quando la paura invece, ha sempre a che fare con qualcosa che riconosci, un pericolo reale e oggettivo. Puoi avere paura dei cani o degli insetti, di volare o degli esami da sostenere e sentirti insicuro e instabile, ma non in ansia.

L’ansia è pur sempre “l’inquietante compagna dell’uomo moderno” come diceva Antonio Miotto, psicologo, pensando che la sua vicinanza influenza i confini della nostra esistenza, ci condanna o ci salva. È stato di allarme che segnala un pericolo che si corre nella vita, ma è sempre una questione di quantità. Limitata e contenuta è fisiologica, anzi necessaria per farci reagire. Oltre un certo livello diventa come la febbre: segnala l’alterazione funzionale di un organo o la sua patologia.

Anche in adolescenza può essere utile al processo di individuazione, serve per i “compiti” da fare e diventare grandi, aiuta a tagliare i legami col mondo infantile e sostiene il distacco necessario o la giusta distanza dalla famiglia. L’ansia fisiologica è quella del tempo in cui si sperimenta l’autonomia, e prevede la necessità di “alzare le vele e prendere i venti del destino dovunque spingano la barca” (E. Lee Master, Antologia di Spoon River”).

È l’ansia di partire per nuove destinazioni con quel poco che serve del passato, dopo aver resettato un po’ tutto. Sul piano biologico l’adolescenza è proprio il momento del “pruning sinaptico” cioè la potatura delle sinapsi che è importante rimodellamento cerebrale. E poiché da ogni potatura dipende il futuro della pianta e i suoi frutti, l’ansia sta tutta nel non sapere come sarà la chioma del proprio albero.

Ma poi c’è l’ansia come disagio che incontro in tanti adolescenti quando vengono a chiedere aiuto nella stanza del dolore, quella dove si porta la sofferenza e la si può condividere. Sono i ragazzi e le ragazze che narrano la loro insicurezza e una preoccupazione eccessiva per l’esistenza.

Sono adolescenti in ansia a cui manca la capacità di attendere e la fiducia, perché famiglia e scuola non hanno dato loro strumenti utili a misurare la febbre che infiamma. Anzi gli adulti di questa nostra società frenetica e narcisista hanno alimentato la competizione più esasperata, quella che tiene alto il livello di stress.

E così la loro ansia si colora di tinte fosche, diviene dolore mentale ingovernabile che spesso si riversa sul corpo che cambia e non piace. Un corpo da colpire e tagliare e un pensiero mortifero o distruttivo che cresce a dispetto della vita che pulsa, forte, nelle vene.

L’ansia non sta negli esami e nei risultati. L’abbiamo avuta tutti quel tipo di agitazione e la ricordiamo bene. Quella è l’ansia da prestazione che, a giuste dosi, ti spinge a usare al meglio le tue risorse.

Non serve l’ansia tormentosa della perfezione, o nemmeno il confronto esasperato con gli altri verso cui li abbiamo spinti in cerca di visibilità e successo. È pericolosa quella preoccupazione, nociva. Produce panico e diventa un circolo vizioso da cui può essere difficile uscire.

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