Ascoltare non è verbo fisico, ma psicologico. Vuol dire sentire con attenzione e intenzione che, in questo tempo digitale di comunicazione sovrabbondante e straripante, è diventata un’ arte difficile e praticata poco.
L’ascolto sta alla base dell’educare eppure facciamo prevalere la logorrea del verbale invece dell’attesa disponibile e del silenzio.
È ovvio che per ascoltare serva tacere, attendere il segnale dell’altro, decodificarlo e aprire lo spazio dialogico della comunicazione, che è un mettere in comune e partecipare. Ma oggi si tende ad ascoltare solo se stessi e il proprio monologo, blindati dentro i propri auricolari. Non per caso abbiamo inventato i “vocali” togliendo ai dispositivi la sincronia del contatto sonoro.
E poi anche l’attenzione degli adulti si è fatta parziale. Ci aspettiamo spiegazioni veloci e risposte che non ci facciano perder tempo. Frettolosi con tutti, anche ai figli spesso riserviamo poca partecipazione e ormai quella automatica condivisione dei “like” a cui i social ci hanno abituato.
Ascoltare vuol dire entrare in un contatto profondo, toccare le emozioni nostre e farsi contagiare dai sentimenti dell’altro. Se ascoltiamo poco o male, ci sfuggono una quantità di cose importanti dei figli che faremmo bene a cogliere e assicurare che la comunicazione contenga il verbale e il non verbale, le parole e i gesti, i suoni vocali e le vibrazioni.
Purtroppo siamo assediati da orologi, email, WhatsApp o Telegram, per dire i più pervasivi, e ci perdiamo le esigenze intime di chi ci sta accanto. Ai figli, nostri e altrui, non lasciamo che lo spazio del giorno che avanza. Li ascoltiamo quando il loro rumore si è fatto assordante o se d’urgenza veniamo richiamati in scena per far fronte al loro malessere.
Il non-ascolto corrisponde al non osservare cosa c’è nel silenzio, quello vuoto dei bambini e degli adolescenti che si ritirano nel loro isolamento. Ma anche l’ansia o quel surplus di preoccupazione nostra ci impedisce l’ascolto e ci rende logorroici protesi, purtroppo, ad anticipare i loro desideri.
Si cresce solo se si è ascoltati perché si gode la libertà di dire quello che si vive, senza paura di essere valutati. Chi è ascoltato impara a narrare le gioie e i dolori sapendo di potersi “affidare” all’altro senza vergogna. Sa narrare i dubbi e le insicurezze, sa comunicare emozioni come la rabbia o il risentimento e scopre che è umano viverle ed esprimerle ma al contempo riconosce che chi ascolta, ti insegna a gestirle quando ingombrano troppo l’anima.
Figli grandi e piccoli, per crescere, hanno bisogno di sapere che gli adulti sono quelli capaci di esserci sempre, perché l’ascolto è presenza, disponibilità e controllo, come contenimento delle angosce e anche delle soluzioni pronto-uso. E’ un accogliere senza dover dare consigli e consolazioni, ma anche senza quel “furor” di voler spianare la strada ai figli e liberarli dagli inciampi.
L’ascolto è attesa paziente e partecipazione intima, quella che ti fa sentire con le orecchie dell’altro ma consente a chi sta facendo la fatica del cammino, di non sentirsi solo lungo il percorso.