Il grande dibattito attorno al DDL Zan evidenzia lo scontro politico in atto ma anche quanto ci sia ancora da fare per contrastare la violenza nei confronti delle diversità e in particolare quelle riguardanti la sessualità.
Omofobia, lesbofobia, bifobia e transfobia, sono termini dove il suffisso “fobia” indica una paura irrazionale che spesso genera risposte di intolleranza e avversione, odio e violenza. Perché l’omofobia, parola coniata dallo psicologo George Weinberg, è paura intensa dell’omosessualità e al contempo segnale che indica l’incapacità personale a gestire le emozioni ad essa collegate.
Allora l’omofobia può essere una difesa nei confronti delle pulsioni omosessuali e al contempo una risposta comportamentale alla paura di interazione con persone di orientamento non eterosessuale. Reazioni che si basano su idee e convinzioni molto simili al pregiudizio, da cui si scatena rabbia e ostilità, odio e violenza. Per quanto si viva in un tempo di apparente apertura sessuale, il generale contesto culturale è ancora quello di dare per scontato che le persone siano naturalmente eterosessuali. Da/ qui il giudizio sulla moralità dell’omosessualità e il costrutto comune che si tratti di una scelta, ma anche le azioni offensive e di discriminazione che, secondo molte fonti, sono in aumento.
L’Agenzia Ue dei Diritti Fondamentali, segnala da tempo la gravità della situazione. Benché i dati reali del fenomeno, come per tutte le forme di violenza, siano parziali, un report del 2019 su un campione di 140mila persone, ha rilevato che 2 su 5 persone LGBTI dichiarano di aver subito violenze verbali e fisiche a causa della propria identità di genere e una su 5 è stata discriminata al lavoro.
Oggi baby gang spietate e in rete singoli e pericolosi molestatori omofobi, si “divertono” a deridere, offendere e ferire mortalmente vittime designate e indifese, che spesso per disperazione mettono in atto pensieri e azioni suicidarie.
Ma omofobi non si nasce. Lo si diventa grazie a un’educazione sessista e a tutti quei messaggi diretti o indiretti di svalutazione e esclusione, offensivi e discriminatori che società, media, famiglia e scuola trasmettono ai minori. Si sviluppano intolleranze e pregiudizi perché ancora oggi famiglia e scuola non sanno affrontare il tema del sesso e non hanno progetti di educazione alla sessualità.
Il devastante e mortifero cyberbullismo secondo l’Osservatorio (In)difesa di Terre des hommes che ha interrogato un campione di 6 mila adolescenti, rileva che ne sono vittime il 61% dei ragazzi e più del 40% delle offese riguardano la sessualità.
È innegabile l’importanza di leggi capaci di proteggere i soggetti più vulnerabili, ma è altrettanto necessario e urgente un rinnovato progetto educativo per minori e adulti. Nel libro “Bullismo omofobico” uscito qualche anno fa e curato in Italia da Vittorio Lingiardi, psicoanalista psichiatra, si mostra con dati alla mano, quanto l’omofobia sia legata a una carente azione educativa degli adulti di riferimento.
È inquietante leggere tra le situazioni narrate, che ancora oggi a scuola sono pochi gli adulti che intervengono con celerità per arrestare le offese del bullo e soprattutto che, in più casi, i maschi vittime di azioni omofobe vengono sollecitati a difendersi (!) comportandosi da “maschio” oppure incoraggiati a fare loro stessi i bulli.