Ci risiamo ormai. Mancano poche settimane per sapere i risultati di quest’anno scolastico. Gli studenti in genere sono già consapevoli di come andranno le cose e senza essere preveggenti sanno benissimo quali e quante materie a fine maggio sono ancora negative e si potranno recuperare. Anche se la speranza è l’ultima a morire.
Quando nel corso delle consulenze di fine anno chiedo ai ragazzi come andranno le cose, onestamente mi dicono del fallimento imminente e del dolore che provocherà ai loro genitori.

Molti infatti sono più preoccupati per la delusione che arriverà in casa, anche se oggi, con il registro elettronico, non ci sono più segreti.
Le madri però intuiscono la “sventura” e allora, in preda all’angoscia, si mettono in contatto con il consulente scolastico, chiedono un colloquio urgente e vogliono capire come mai rischia la bocciatura, o quanti debiti debiti costringeranno i figli a studiare tutta l’estate e faranno cambiare i piani per l’estate alla famiglia.
Affrante, ti chiedono “Forse non ci arriva? Di certo non si impegna come dovrebbe ma secondo lei potrebbe essere colpa mia? Che non l’ho seguito come si dovrebbe…”
Appesi alle tue labbra, con un’ ansia davvero incontenibile, ma con l’idea che le tue parole siano taumaturgiche si aspettano che loro angoscia tu gliela dissolva.
Il problema grosso per questi genitori è che non vogliono far fare ai pargoli esperienze di inciampo e più ancora cadute rovinose come la bocciatura, che sono ancora un tabù e un’onta da evitare, quasi fosse un’annotazione sulla fedina penale!
È un’evidente esagerazione che nasconde il vissuto di molti genitori che hanno ancora memoria dei propri insuccessi e che rivedono nei fallimenti dei figli. Provano una doppia vergogna: una del figlio che fallisce e l’altra come genitori che indicherà a tutti come la loro genitorialità è imperfetta.
Così rimangono a bocca aperta quando, nel tentativo di tranquillizzarli, gli rispondo: “Non gli dia un premio, ma gli lasci fare questa esperienza! Non farà male!” La realtà è che tutta la società oggi ama il successo e ritiene il fallimento una prova negativa. Niente di più sbagliato!
La rincorsa alla perfezione che noi chiediamo ai figli e il binomio “competizione e successo” fa acquisire a fallimento scolastico un significato totalmente fuorviante, diventa uno stigma collettivo che dice “Sei un fallito, un incapace, uno che non avrà mai possibilità”.
È vero il contrario, invece: il fallimento è una caduta e, nelle arti marziali, cadere è parte integrante della “lotta”.
Serve sapere come mai si è caduti e come fare per rialzarsi. Ma non aiuta evitare di cadere. Invece questo senso ogni fallimento ti fa crescere, insegna come ci si deve muovere e in che modo affrontare la vita. È terapeutico, anzi se non cadi, rischi!
Qualcuno ha detto: “L’unico vero errore da evitare è quello dal quale non si impara nulla”. Ai genitori suggerisco allora di rispondere ai figli che falliscono a scuola o altrove, con le parole di Samuel Beckett che diceva “Provaci ancora, fallisci, ma fallisci meglio!”