C’era una volta una lite al parco. Un ragazzino di 11 anni colpisce con un bastone un coetaneo e lo ferisce. Un fatto violento, inammissibile che appare subito senza motivo e che gli adulti faticano a comprendere.
Allora le famiglie dei due bulli decidono di ritrovarsi per provare a discutere dell’accaduto e tentare di capire come risolvere la questione in maniera civile.

Così a casa di una coppia la conversazione è cordiale e gentile. Almeno all’inizio. Entrambe le coppie si raccontano con pacatezza, ma presto i convenevoli diventano battibecchi e circola veleno, ipotesi, allusioni strane.
Piano piano il clima è incandescente, degenera. I toni si alzano, le colpe dei figli si rinfacciano reciprocamente.
Nulla appare più civile, anzi lontano dai fatti reali gli uomini e le donne si offendono: ognuno ha qualcosa di cui lamentarsi e vomitare rabbia e offese. È la cronaca di un massacro, la storia di famiglie dominate da conflitti indicibili e egoismi. Lo spaccato di un mondo di relazioni devastate dagli antagonismi.
Sembra quasi un film. E lo è.
Si chiama “Carnage” ovvero “carneficina” diretto da Roman Polanski che nel 2011 lo ha ripreso da una piece teatrale francese dal titolo “Il dio del massacro”.
Allora sembrava un eccesso della società americana, un film a noi geograficamente distante e la denuncia di un tempo familiare povero, massacrato e massacrante, incapace di educare. Appariva come un modello genitoriale che non veicola comprensione né ascolto, ma mostra distanza, scarso coinvolgimento affettivo, zero empatia e piuttosto livore, emozioni bloccate e sommerse per tempi infiniti.
Di che ci meravigliamo se le cronache odierne ci parlano di ragazzini rissosi di dieci anni che in strada di Bolzano (ma potrebbe essere ormai qualsiasi luogo) davanti a tutti si menano e si colpiscono con spray urticanti? Che serve stupirsi che i loro genitori sopraggiunti per fermarli e contenere quelle furie, per un pelo non se le danno pure loro, reciprocamente?
Il copione era già stato scritto da tempo.
Quando 15 anni fa quel film lo abbiamo visto al cinema ci sembrava la provocazione di un regista “visionario” e provocante ma capace di descrivere le perversioni di una società materialista ed egocentrata. Invece era profetico perché quel bullismo infantile che vediamo esplodere a casa nostra e non in America, si manifesta sempre prima e ci appartiene drammaticamente quello “stare a guardare” come sembra abbiano fatto gli adulti di fronte a quell’arena, fermati unicamente dalle forze dell’ordine.
Da chi studia il fenomeno bullismo da almeno 30 anni, trovo che stiamo rafforzando i modelli del “guardare senza fare nulla” tipico proprio del bullismo e della prevaricazione. Ed è l’ambiente familiare e socio-culturale quello che influenza i comportamenti dei soggetti in età evolutiva.
Prima di cercare distanti i responsabili di questa diffusa prepotenza, riflettiamo sul silenzio che usiamo con la violenza, sulle dinamiche di competizione che sosteniamo a casa e a scuola. Domandiamoci quale valore stiamo dando ai concetti di sconfitta e successo e non dimentichiamo cosa produce violenza diretta o assistita in famiglia o quanto fa la trascuratezza e la negligenza.