Insegnare. L’arte di lasciare segni
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Insegnare, dice il vocabolario, è verbo transitivo che vien dal latino “insignare” e significa “imprimere segni”. Comprendi subito, allora, che non è solo trasmettere nozioni, né far acquisire le competenze del saper dire e del saper fare.

Insegnare è lasciare tracce o impronte nella mente e nell’anima di chi cresce. Mestiere impegnativo, faticoso, spesso poco riconosciuto e maltrattato, insegnare è arte complessa, delicata, difficile perché deve fornire le chiavi per leggere la realtà, gli strumenti per capirla e, più ancora, deve far nascere domande per cercare i significati.

Chi insegna fa questo e, diceva Jung, se si guarda indietro si apprezzano ”gli insegnanti brillanti, ma la gratitudine va a coloro che hanno toccato la nostra sensibilità umana” Poi aggiungeva che “è il calore l’elemento vitale per la pianta che cresce e per l’anima del bambino”.Arte antica e indispensabile quella dell’insegnamento, ma prima di tutto relazione affettiva fatta di parole, ma solo quelle che servono.

Più che altro è gesto, azione, esempio. Un’arte che s’impara e si costruisce con gradualità, fatica, passione, gentilezza, perseveranza e pazienza soprattutto. Solo allora si lascia un’impronta, che è il segno dell’ “Esserci”.

Il don Milani maestro di Barbiana, rispondeva con energico vigore agli insegnanti che gli chiedevano quali erano i suoi programmi del suo insegnamento e le materie. Diceva: “Non dovrebbero preoccuparsi di come bisogna fare per fare scuola, ma solo di come bisogna essere per poter fare scuola” (Esperienze pastorali, Libreria editrice fiorentina).

L’essere, dunque, serve di più del fare o dare nozioni e risposte. Tanto più che oggi è difficile competere con il Signor Google che ha risposte immediate per tutti. Caso mai è insegnare a far domande, aiutare a farle emergere, sostenere il dubbio non le certezze, valorizzare le ipotesi e non le prime “verità” che si incontrano.

L’essere è stare accanto per accogliere e far nascere il pensiero, quello creativo e critico. In questo senso è un’azione ancora molto vicina alla “maieutica” di Socrate che, similmente alla pratica delle ostetriche che aiutano i bambini a nascere, aveva la funzione di educare i discepoli a trovare risposte autonome. Era, ed è ancora, un continuo dialogo con l’allievo ma soprattutto un ascolto empatico e di poche parole.

Eppure nell’insegnare serve “spiegare”, cioè serve avere parole, non per dare soluzioni quanto per “togliere le pieghe” alle cose e renderle accessibili senza eliminare il mistero, che è lo sconosciuto da ricercare. La sua funzione è in quel suonare insieme e cercare con chi cresce l’armonia della vita.

Non ricordo ma qualcuno deve aver detto che “Il migliore insegnante è l’allievo migliore”. Insegnare è comunicare, mettere in comune l’esperienza, narrare e narrarsi con il linguaggio verbale e ancor di più con quello non verbale.

Ed è consapevolezza della quantità di cose che passano dalle “non-parole” e dai gesti, dal silenzio creativo dell’ascolto che trasmette corpo, presenza, fascino. È anche affascinare, cioè il sedurre non pericoloso che serve a incantare e a far innamorare della conoscenza, quella che fa crescere e si dona alla memoria.

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