La lunga paura e la strada della cura
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Un lungo anno di paura, verrebbe da dire. O meglio, un interminabile tempo di angoscia che non si è ancora concluso. Perché non si tratta solo di paura, che è reazione di difesa a qualcosa di conosciuto, ma di fare i conti con l’indeterminato e l’invisibile. È questo il turbamento che stiamo vivendo. Il confronto con il lato oscuro del “male”. Con il suo aspetto negato e rimosso.

Chiamiamola pure “paura” per semplicità, ma è un’emozione primordiale e antica, indefinibile a parole.È quel “sentire particolare”, di cui parlava Zygmunt Bauman nel libro “Paura liquida” che lui chiama sindrome del Titanic fatta del terrore provato dai passeggeri quando avvertono la minaccia di un pavimento che da lì a poco può venire a mancare sotto i loro piedi. È “l’irruzione del possibile nell’impossibile” che genera l’angoscia, il verificarsi di qualcosa mai immaginato e la sensazione che non vi sia nulla a sorreggere mentre si scivola nel nulla senza appigli. Credo che molti abbiano provato questo totale svuotamento e al contempo il disorientamento tipico che si vive dentro a un labirinto.

E penso che da questa dimensione sorgano ancora le tante domande che poniamo alla scienza e l’aspettativa che essa possa darci la verità. Interrogativi naturali e legittimi, ma illusori perché la scienza, caso mai, può offrirci solo risposte esatte, cioè legate al procedimento di indagine utilizzato e adeguate alla correttezza con cui questo è stato sviluppato.Ma un’interminabile pandemia smarrisce la coscienza e alimenta l’illusione che le razionali spiegazioni degli scienziati possano placare quella sconfinata “paura” quando, in realtà a scombinare la “ratio”, è il trovarsi di fronte al vuoto che minaccia le basi della nostra vita biologica, civile e di quella organizzata.

L’assenza di ragioni produce sgomento soprattutto quando l’ignoto irrompe d’improvviso dal sottosuolo della coscienza.Indipendentemente dalla personale attrezzatura con cui possiamo gestire e controllare la condizione di vulnerabilità totale, è quel trovarsi di fronte al “male” che ti scaraventa, senza ancoraggi, nell’imprevedibile. Allora ti auguri che qualcosa possa cambiare in fretta e che si allunghi il più presto possibile la prospettiva corta dei giorni.L’incertezza dell’essere e l’insicurezza dell’esistenza, sono per tutti esperienze inevitabili a cui ognuno cerca di porre rimedio come può. È umana, troppo umana la necessità di contenere lo smarrimento per sopravvivere.

Ma questo è solo il lato prezioso della paura. Un segnale necessario che ti protegge e ti offre le reazioni vantaggiose dell’attacco o della fuga. Da lì, molto probabilmente, provengono le tante rappresentazioni del “negazionismo” o del “ritiro” dal mondo che alla fine sono facce uguali e diverse della stessa medaglia. Tentativi che vogliono evitare l’acuta vertigine che assale quando non hai più contatto con un terreno solido di appoggio. Però, diceva Jung, non aiuta negare la paura o cancellarla. Va invece rispettata l’angoscia, perché è dalla perdita dell’equilibrio e dalla mancanza di sicurezze che possono nascere fantasie interne compensatorie. Riparative.

Là, stranamente, si può trovare la cura. Quando la paura allaga la mente, ci serve un posto riparato, in quanto, sosteneva l’analista svizzero, è un atto di coraggio andare a nascondersi o battere in ritirata di fronte al male che incombe. Non abbiamo la possibilità di controllare tutto. Ed è l’illusione di una onnipotenza che straripa dalla smania di reagire ad ogni cosa quella che ci fa pensare di cambiare la realtà, immediatamente.

Abbiamo viceversa, la necessità di resistere e accettare che tra la paura e il desiderio c’è una linea diretta di congiunzione e che la tensione non va eliminata. Abbiamo bisogno di tempo per tornare a vedere le stelle.

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