L’infinito
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Mi hanno fatto conoscere a scuola le poesie di Giacomo Leopardi che ero una ragazzina poco più di 13 anni, le sue opere dovevano avere il compito di dare una risposta a tutti i miei perché circa la mia disabilità e secondo i miei insegnanti consolarmi attraverso i suoi canti.

Proprio per questo quando mi è stato chiesto l’anno scorso di dipingere un quadro per i 200 anni della poesia “Infinito” di Giacomo Leopardi non mi è sembrato vero, il mio primo pensiero è stato: “figurati se mi lascio scappare questa occasione”. 

Ho amato troppo Leopardi fin dalla mia prima adolescenza e la cosa curiosa è stata che mi sembrava di conoscerlo talmente bene da sentire cosa si agitava in lui, nel suo spirito e su cosa non si sentiva capito. Penso di aver intuito buona parte delle sue sensazioni: nel sentirsi emarginato e per di più la sua rabbia nel sentirsi incompreso.

Questa tela, che mi vedete dipingere, l’ho incontrata bianca ed ho pensato subito all’Infinito, forse per questa sua forma rotonda così perfetta… 

Ho deciso di dipingere dietro il telaio come metafora per uscire dai limiti e dagli schemi, ad olio per osare e rendere materica l’aria, senza cornice perché l’infinito non si può ingabbiare, con colori in movimento “quasi spastici” perché l’infinito non è mai eguale a sé stesso, con quella piccola sedia “in pizzo” al mondo per osservare, ma soprattutto abbracciare e farsi abbracciare dall’Infinito.

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