Nato senza camicia. Il racconto della mia infanzia (2)
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di V. M.

Storia raccolta dal nostro collaboratore, il giornalista Maurizio Panizza

Seconda puntata

LA FUGA

Dopo l’allontanamento forzato di Teresa, l’anima buona che mi aveva fatto provare sentimenti mai conosciuti prima, ritenendo quella azione una vera e propria violenza mi ingegnai di reclutare due compagni di fuga uno dei quali aveva dei contatti di parentela abbastanza vicini essendo i suoi familiari originari di Pergine Valsugana, paese non distante da Levico. Decidemmo quindi di fuggire convinti nell’aiuto (presunto) e nell’ospitalità degli stessi.

Scavalcate furtivamente le recinzioni ci incamminammo alla volta di Pergine nascondendoci ogni qualvolta si intravvedeva qualche pericolo, consistente in particolare nell’incrociare persone che potevano riconoscerci.

Giunti a Calceranica, località turistica a pochi chilometri da Levico affacciata sul lago di Caldonazzo, la prudenza smise di preoccuparci e il nostro passo divenne meno circospetto e più baldanzoso. Cominciammo così a camminare imprudenti sulla strada che costeggiava il lago perdendoci in giochi come il lancio di sassi piatti sulla superficie dello stesso e contando chi riusciva a far rimbalzare più volte il sasso sul pelo dell’acqua.

Per nostra grande sfortuna, poco dopo transitò da lì una pattuglia dei Carabinieri alla quale non passammo inosservati. Ci videro, si fermarono, fecero retro marcia e fummo immediatamente fermati. Ci misero poco a farci confessare la fuga dall’Istituto e seppur comprensivi, ligi al loro dovere ci riconsegnarono alle suore, le quali ovviamente ci diedero un’adeguata cura punitiva che nulla invidiava ai metodi inquisitori del passato. Tale cura consistette in un trattamento doloroso per il corpo ed umiliante per lo spirito.

Ci rinchiusero nel locale docce e dopo averci fatto spogliare e rimasti con le sole mutande, le due suore adibite al ruolo di carnefice presero degli asciugamani grandi li arrotolarono uno a uno. Poi a un capo fecero un solido nodo ben stretto. Terminata tale operazione che ci sembrò non finire mai, ci spinsero sotto il getto d’acqua della doccia e dopo aver bagnato per bene gli asciugamani con gli stessi cominciarono a colpirci senza pietà con il nodo reso pesante dall’acqua, con forza sulle cosce, sulle natiche e sulla schiena, sistema che si rivelò molto doloroso per i nostri esili corpi, ma che permise di non lasciò evidenti segni contusivi sulla pelle.

Ci diedero una tale razione di botte che ci lasciò pesti e doloranti per alcuni giorni, da non essere in grado neppure di giocare coi nostri compagni, i quali consapevoli ci schivarono per tutto il periodo.

Tale trattamento generò in me una tale furia vendicativa che ebbi modo di mettere in pratica in seguito, quando un mese dopo venne in visita l’Assessore Provinciale, in quel caso Assessore donna. Era infatti usanza che durante la visita di personalità politiche o clericali, tutti noi venissimo inquadrati in file ben ordinate per classe e per altezza nel cortile dell’istituto, in modo che l’illustre ospite potesse passarci tutti in rassegna, e alla bisogna porre delle domande al malcapitato di turno, il quale ovviamente terrorizzato a malapena sapeva solo dire il proprio nome e la classe di appartenenza.

Io non essendo tra i più alti della classe ero schierato in prima fila avendo “quella” suora proprio davanti a noi. Lei, come un sergente, continuava avanti e indietro  per verificare che nessuno si sognasse di rompere l’allineamento.

Quando l’Assessore giunse alla nostra posizione e si pose proprio davanti alla nostra fila, la suora ci girò le spalle per porgere i suoi saluti alla stesso assessore. In quel momento io misi in pratica la mia vendetta senza pensare alle conseguenze. La mia “carnefice si trovava in quel momento proprio davanti a me. In un sol colpo afferrai il suo velo nero che terminava sotto la cuffia che ricopriva il capo, e tirai con tutta la forza che avevo nelle braccia.

La suora restò senza parole e improvvisamente senza copricapo, mostrando una testa coperta da capelli cortissimi simili a quelli di un militare.

Dopo aver lanciato un urlo impressionante, prima si coprì il capo con le mani, poi si chinò a rimettersi la cuffia lanciandomi nel frattempo uno sguardo rabbioso che prometteva ritorsioni violente, che terminata la visita istituzionale, non tardarono a manifestarsi. Anche allora, come in precedenza, presi una solenne razione di botte con conseguenti punizioni psichiche che evito volutamente di ricordare.

LA MIGLIORE ESTATE DELLA MIA VITA

Si giunse quindi alla fatidica estate del distacco. Una mattina, improvvisamente, la suora superiora mi chiamò per dirmi che di lì a poche ore sarei partito alla volta del comune di Rabbi, in frazione San Bernardo, paesino vicino alle omonime terme note per le acque ferruginose e curative di alcune patologie, tra cui l’anemia.

Il mio sarebbe stato un periodo transitorio in attesa dell’inizio del nuovo anno scolastico e della mia nuova destinazione. Per questo avrei soggiornato a Rabbi in una colonia per tutto il periodo estivo. Ero convinto di partire assieme ad altri compagni, invece scoprii ben presto che sarei andato da solo.

Venne a prendermi un signore con la sua auto personale. Mi spiegò che conosceva nostra madre, la quale non sapeva come e dove sistemarmi in attesa del mio inserimento nel nuovo istituto.

Questa persona di buon cuore, impietosita dalla nostra situazione familiare, si era fatta carico di trovare una sistemazione provvisoria sia per me che per mio fratello Franco, che mi avrebbe raggiunto di lì a pochi giorni.

L’uomo era per l’appunto originario di San Bernardo di Rabbi e conoscente dei miei defunti nonni. Fu proprio grazie alla sua intercessione presso l’Amministrazione comunale e alla sua disinteressata generosità, avvenuta con il pagamento delle nostre quote, che trovammo posto nella colonia estiva sita nell’edificio scolastico locale allestito appositamente per il nostro soggiorno. Quella fu senza dubbio l’estate più bella che passai negli anni della mia gioventù: in quel breve periodo la sorte si rivelò magnanima.

Giunto a Rabbi scoprii con sorpresa che i mie compagni di colonia nulla avevano da spartire con ragazzini come me, quanto meno per posizione sociale.

Loro, infatti, erano tutti ragazzi provenienti da famiglie che possiamo definire “normali”, i quali erano stati mandati dai loro genitori in quella bella località montana con l’unico scopo di far loro passare un’estate all’insegna dello svago e stare in un posto dall’aria salubre.

Inoltre gli assistenti responsabili della nostra tutela erano esclusivamente civili,  per lo più di giovane età, ed erano di entrambi i sessi.

Decisamente l’inizio fu extra lusso, i ragazzini saranno stati una trentina in tutto, suddivisi in due gruppi. Il primo, comprendeva i più piccoli, reduci dalla seconda e dalla terza elementare, mentre il secondo gruppo tra i quali ero inserito anch’io era formato da ragazzi provenienti dalla quarta e quinta elementare.

Mio fratello Franco alcuni giorni dopo, con sommo piacere di entrambi, mi raggiunse e fu inserito nel primo gruppo.

Il mio gruppo venne dato in consegna agli assistenti maschi, mentre il secondo era di competenza delle assistenti femmine.

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