Uomini in scarpe rosse a Ravenna. Un flash mob tutto maschile per manifestare contro la violenza sulle donne e segnalare che serve un processo di cambiamento rispetto alla violenza degli uomini la quale ha radici profonde e radicate.
Un piccolo gesto simbolico ma sempre più necessario per mobilitare la coscienza dei maschi e svelarne la violenza. Questo non vuol dire che i maschi siano tutti violenti, ma che la cultura della violenza è maschile e non ha confini. Soprattutto si manifesta in una infinità di modi e azioni di abuso. C’è la violenza domestica che esplode dentro le realtà familiari e quella che emerge in tempi di pandemia. Ma sarebbe un errore attribuire la colpa ai vari lockdown che, invece, hanno sollevato il coperchio sul maltrattamento intra-familiare, diretto o indiretto.
Caso mai l’isolamento sociale ha evidenziato la tossicità delle parole e dei gesti quotidiani che si annidano nelle relazioni domestiche dove, esplicita o meno, può esprimersi la svalutazione del femminile e la disparità di genere.Altrimenti non sentiresti ancora oggi bambini che alla domanda “Cosa fa tua madre?” ti rispondono: “Niente, sta a casa!” Così, prima di tutto c’è la violenza di genere, quella che conduce al femminicidio ed è nutrita dal potere aggressivo dei maschi che considerano la donna ancora un oggetto di proprietà.
La parola stessa “femminicidio” rimanda all’omicidio di donne solo in quanto donne, ovvero femmine, che possono essere, come sono in realtà, mogli, compagne, amanti o ex, ma anche figlie, sorelle, amiche o vicine di casa e coinquiline. Donne però colpevoli di aver sfidato il potere del maschio. Martorizzate da quegli uomini violenti non per gelosia, quanto perché maschi incapaci di sopportare l’autonomia e l’emancipazione del femminile. È sempre e solo una questione di potere, in sostanza legato a un maschile strutturato sull’aggressività primordiale e sulla dominanza arcaica che fa ancora parte del cervello rettile il quale, all’origine, regolava la sessualità tra maschio e femmina e assicurava la continuità della specie.
Ma questo dire non è per nulla una giustificazione della violenza, quanto piuttosto un elemento necessario per capire come mai svalutazione, abuso e violenza facciano ancora parte delle relazioni uomo-donna e possano essere mortifere anche prima degli atti fisici, devastanti e distruttivi. Mi riferisco alla violenza psicologica sulle donne che precede il maltrattamento fisico.
Ho in mente ancora oggi una giovane donna che in momento del suo lavoro per ritrovare se stessa, raccontò un episodio della relazione con il padre.
“Ricordo un giorno quando ero bambina accanto a mio padre, mentre lungo la pietraia stavo con lui a pescare. Era la passione che avevamo condiviso e che ci aveva visto vicini, in silenzio. Io lo guardavo e lo imitavo. Ero la sua ombra, la duplicazione dei suoi gesti e dei suoi tic, il clone del suo mondo chiuso e isolato dalla vita. Quella foto, scattata da un amico, sembrava imporci di sorridere senza riuscirci ed era la testimonianza della nostra esistenza: l’una a fianco dell’altro ma senza una pur minima vicinanza affettiva. Ricordo che una volta, sorpreso dai risultati della mia pesca, invece di complimentarsi mi disse: «Peccato che tu sia femmina, saresti stato proprio figlio mio, se fossi nata maschio!”.