Quando non sappiamo più chi abbiamo di fronte
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La pandemia da Covid-19 si può considerare indubbiamente un evento straordinario che ha colpito gli esseri umani su scala mondiale e le cui conseguenze mantengono ancora, purtroppo, tutte quelle caratteristiche di straordinarietà che rendono difficile il ritorno alla normalità. Si tratta, in altri termini, di un evento “critico” che ha colpito la collettività in modo traumatico, e in questo senso presenta tutta la fenomenologia degli eventi traumatici, ben conosciuta, con le relative fasi che caratterizzano la loro evoluzione.

Uno degli aspetti più tipici degli eventi traumatici è la “rottura” della visione del mondo, ovvero il venir meno di alcune certezze, date per scontate. La percezione collettiva della pericolosità ha avuto un impatto emotivo così forte che ha minato specificatamente, in questo frangente, tipico delle epidemie, la sicurezza dello “stare vicini”: un assoluto ribaltamento di ciò che la nostra natura mammifera vive nelle sue corde più profonde.

Per i mammiferi, infatti, contatto, vicinanza e legame rappresentano, forse, quella risorsa evolutiva che la natura ha messo a disposizione come valore aggiunto per la sopravvivenza della specie. La percezione collettiva della pericolosità, in questo frangente, ha invece ribaltato questa certezza nel suo opposto, ovvero nella convinzione che la sopravvivenza sia garantita dalla distanza: per questo l’impatto emotivo di questo evento traumatico collettivo è così intriso di paura ma anche di tanta confusione.

La particolarità, forse, che maggiormente caratterizza questa esperienza traumatica collettiva va identificata, molto probabilmente, nella percezione della potenziale pericolosità del proprio simile: infatti, anche se non siamo più nella fase acuta della prima emergenza, il distanziamento sociale resta la strategia su cui si focalizzano maggiormente le indicazioni istituzionali. E questo cambio paradigmatico nei confronti dei propri simili, molto probabilmente, rappresenterà la base di tante difficoltà nel prossimo futuro.

A questo proposito, una necessità fondamentale dell’individuo per entrare in relazione e per scambiare con i propri simili è proprio quella di avere sufficiente “chiarezza” dell’interlocutore: sapere “chi” abbiamo di fronte è il presupposto per poter orientare la nostra interazione. Se, ad esempio, abbiamo di fronte un amico, la nostra interazione prenderà una direzione diversa da quella che potrebbe prendere, invece, l’interazione con qualcuno che percepiamo come ostile. In altri termini, “Chi è l’altro?” è la domanda imprescindibile per entrare in relazione e sapersi muovere adeguatamente all’interno di quella interazione.

La percezione collettiva della pericolosità ha colpito proprio questo aspetto, e continua a colpirlo, anche se nella cosiddetta “Fase 2” le limitazioni si stanno ridimensionando e c’è la possibilità di maggiori spostamenti e interazioni sociali. Quando incontriamo qualcuno, infatti, non sappiamo chi abbiamo di fronte: non sappiamo se è “innocuo” oppure è stato ammalato, se è entrato in contatto con qualcuno ammalato o è addirittura contagioso, magari senza sapere di esserlo; in altri termini si è rotta la percezione di sicurezza interpersonale. Ad eccezione delle persone più vicine e familiari, l’altro è diventato “un’incognita” e non sappiamo più chi abbiamo di fronte.

Ma, oltre all’aspetto squisitamente sanitario, c’è un altro tipo di incognita, ovvero quella relativa al vissuto dell’altro: “è tranquillo?”, “è spaventato?”, “ha paura di me?”, “posso allungargli la mano”, “posso abbassare la mascherina?”, “cosa pensa di tutto questo?”, “la penserà come me, oppure no?”, ecc. Insomma, mille incognite che emergono da un’insicurezza di fondo causata proprio dalla rottura traumatica della visione del mondo tipica degli eventi critici.

Quando incontriamo qualcuno, non sappiamo più chi abbiamo di fronte: questa insicurezza richiederà una paziente ristrutturazione della percezione dell’altro, come se ci fosse la necessità di ricostruire la nostra rete sicura di relazioni e, possibilmente, un rinnovato senso di sicurezza nei confronti degli altri in generale. Purtroppo questo non è per nulla scontato, ma probabilmente sarà una delle sfide più decisive per il futuro del vivere sociale.

 

 

 

 

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