Il bullismo sempre più legato alla comunicazione digitale, è protagonista ovunque di un’escalation di violenza. Lo ha rivelato una recentissima indagine fatta dall’Università La Sapienza che nell’area bresciana che ha coinvolto 1113 ragazzi dai 13 ai 16 anni e ha mostrato un’adolescenza iperconnessa.
I numeri dicono che il 93% di essi passa il tempo libero da impegni scolastici con lo smartphone in mano almeno 3 ore al giorno. Il 7% non lo spegne mai e il 60% ritiene che sia un tempo adeguato. Ma poi sappiamo che il 60% dei genitori non dà limiti e non controlla se i figli dormono di notte o messaggiano.
Il problema di fondo è la percezione limitata del bullismo virtuale e delle manifestazioni violente che iniziano precocemente in età scolare e interessa maschi e femmine senza distinzione. Questa ricerca rivela che le vittime dei cyberbulli sono 1 su 4 e 6 su 10 ragazzi dicono di aver assistito almeno a un episodio di violenza.
Il guaio è però che ci stiamo abituando tutti a questi comportamenti offensivi.
Le vittime tacciono e grandi si indignano un poco quando vengono a conoscenza di prepotenze e offese. Invocano urgenti misure repressive che spesso fanno aumentare le pene ma non cambiano nulla. E poi si fa finta di niente perché non si promuovono progetti di conoscenza e interventi di prevenzione, ma spot, frasi di effetto e depliant inutili.
Dovremmo ormai sapere che non si nasce bulli, ma da sempre lo si diventa dove mancano gli adulti attenti, normativi e non quelli puntivi e basta. Sono in genere assenti i “grandi” che sanno ascoltare e osservare soprattutto ora nel tempo digitale dove è più facile nascondersi ed essere cyberbulli notturni. La violenza fisica di bulli e bulletti, c’è ancora ed è grave, ma le offese e le prevaricazioni mortifere del bullismo in rete sono fatte di parole e calunnie devastanti di odiatori in carriera. Perché adesso online non ci sono solo i “cattivi” a fare i prepotenti ma anche i “buoni” che sanno come diventare carnefici.
Il cyberbullismo persecutorio così aumenta, interessa entrambi perché il web è territorio di tutti e diminuisce la percezione dell’altro che sta al di là del display. Quante volte ho sentito dire dai bambini della primaria che è solo un “gioco” dove anche la “vittima” si diverte e, mentre si viene perseguitati, si impara come essere persecutori.
Ai veri adulti spetta il compito di capire che per i minori conta la visibilità. Gliela abbiamo insegnata noi e ora sanno che aumenta rapidamente con quell’agire offensivo delle parole che scatena applausi.
In rete il cyberbullo si sente un potere senza limiti, per lo più senza controllo e protetto. Si diverte e poi “firma” con foto e video le sue imprese in attesa del “premio”, incurante del dolore dell’altro che non percepisce perché online non ci sono sentimenti ma emozioni immediate e “like”. Null’altro.
Per fronteggiare il bullismo di oggi allora, non basta più la famiglia e le buone maniere, la scuola e le sue note o le sospensioni, ma serve una comunità educante più autorevole e meno distratta, capace di mettere in campo strumenti di contenimento e confini, che promuova consapevolezza e autoregolazione e sappia insegnare davvero a riconoscere quello che si prova e ciò che accomuna agli altri.