Odio. Una passione distruttiva
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Ci sono momenti, come quello che stiamo attraversando, in cui l’odio lo vedi, lo respiri e lo senti concreto e sconfinato. Se avesse un colore sarebbe nero come le radici nascoste delle nostre parti buie che diventano devastanti quando odio e vendetta si uniscono.

Odiare e vendicare, infatti, non sono solo parole terribili già nell’etimo che indica malanimo persistente e premeditazione del male, ma diventano pensieri e azioni capaci di trascinare ognuno di noi in una voragine distruttiva che annienta.

L’odio è miccia accesa che infiamma e devasta i luoghi dell’innocenza e gli spazi del quotidiano, e in quanto turbine di passione può contagiare tutto se esce dalle cavità dell’ombra cui appartiene.

Lo aveva colto Freud agli inizi del secolo scorso quando aveva individuato che le due forze potenti e contrarie, quelle pulsioni ineliminabili che sono la forza della vita e quella della morte, Eros e Thanatos, si fronteggiano e lottano in continuazione l’una per prevalere sull’altra.

Entrambe ci appartengono, diceva, ma dopo la devastazione della prima guerra mondiale, nel suo “Al di là del principio del piacere” Freud arriva a dire che in ogni essere umano c’è un istinto di morte la cui matrice è l’aggressività e l’odio come forze di una distruttività innata nell’uomo.

Così nel carteggio con Einstein che gli chiede “Perché la guerra?” Freud spiega che le pulsioni distruttive e di morte sono dell’individuo che, come essere vivente “protegge la propria vita distruggendone una estranea” (Perché la guerra, 1932, Bollati Boringhieri).

Da questo nasce l’odio che è paura di ciò che sta dentro di noi e non si conosce. È una passione dell’essere, come diceva Lacan, non una semplice emozione che ti attraversa l’anima.

Si odia quello che non si accetta, prima di tutto di noi stessi. Si odiano le parti che non piacciono, quelle che vorremmo non avere. Alla base, c’è un potente meccanismo di difesa chiamato “proiezione” che fa dire “Non sono io il cattivo, tu lo sei!”.

Realtà interna tutta della psiche che nasce dal bisogno primordiale di sentirsi buoni per essere accettati e non rischiare di essere rifiutati e lasciati soli. Ma perché l’odio prenda forma c’è bisogno di una minaccia e di un pericolo che, percepito, faccia sentire a rischio la propria identità personale e collettiva.

In quel caso l’odio innesca la reazione del gruppo, degli odiatori, e attiva il cameratismo con cui si tenta di riempire un vuoto interno.

Ma per dare corpo alla forza distruttiva dell’odio, c’è anche bisogno di una buona dose di disimpegno morale con cui giustificare i comportamenti distruttivi, faccia minimizzare le conseguenze della propria aggressività e incolpi le vittime del male che subiscono. Su tutto prevale l’odio che de-umanizza chi subisce la violenza e consente di scagliarsi sulla vittima senza sentire alcuna colpa.

Per riuscire a contrastare la distruttività umana, è ancora Freud a indicare la strada: sviluppare l’eros come pulsione che costruisce legami affettivi e promuovere la forza dell’identificazione con l’altro che è l’empatia.

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