La parola “dubbio” è fuori moda, anzi temuta, perché nel tempo insicuro che stiamo vivendo puntiamo solo alle certezze e valorizziamo unicamente le risposte.
Dubitare è sentito come pericoloso perché non sei performante, non dai prova di sapere o non hai le competenze richieste. Il dubbio è sosta per scegliere e domanda che nell’etimologia contiene l’incertezza. Generato dal latino “dubium” ha radice sanscrita “dva” e vuol dire “due”. Per questo il dubbio ti manda in crisi perché non sai trovare la direzione mentre devi scegliere dove andare. A chi va per mare e veleggiando, in crisi per il vento avverso, spesso viene detto “orza!”, cioè punta la prua in direzione del vento e dunque “osa!”
Ma il dubbio che non è patologico anche se può diventarlo, è interrogativo, crescita e riflessione, ma pure prova! Appartiene in modo particolare agli anni giovanili e all’infinita sequenza di domande che in adolescenza non chiedono risposte immediate, ma tempo e ancora domande su domande, a volte qualche spinta a cercare risposte.
Mi capita spesso di raccogliere le preoccupazioni di insegnanti e dirigenti della scuola superiore afflitti dall’aumento dei problemi di orientamento agli studi. Affranti per la possibile dispersione scolastica che ne può derivare, percepisco l’interrogativo pressante del “Che fare con questi studenti che hanno intrapreso una scuola sbagliata… Avrebbero dovuto scegliere altro!” Ed è un po’ come sentirsi dire “C’è necessità che lo psicologo aiuti a orientare l’adolescente. Deve esserci qualcuno che lo faccia, altrimenti noi come scuola non sappiamo intervenire.”
È probabile, dico io, che non abbia funzionato qualcosa e la scelta del corso di studi sia stata errata, ma la domanda principale che la scuola deve porsi è: “Abbiamo insegnato il dubbio? Come adulti li abbiamo educati a cercare risposte e a dubitare di quelle già pronte, anche delle nostre? Siamo in grado, di accettare che esprimano i loro dubbi pure su quello che diciamo? Sappiamo aspettare che ci sia un tempo per la riflessione o valorizziamo solo chi risponde per primo?” Il dubbio richiede disponiblità, pazienza, attesa.
Va insegnato il dubbio e va praticato fin da piccoli. È un laboratorio da inserire nella didattica dove ci si esercita a dubitare delle proprie certezze. È l’arte del pensare in modo creativo: “Dubito ergo sum” parafrasando Cartesio. È lo spazio in cui si medita sulle proprie conoscenze, anche le più solide e si ammette di non conoscere quello che si crede di sapere.
“L’unica cosa che io so è quella di non sapere” diceva Socrate, maestro di maieutica, il metodo dialogico che dovrebbe essere patrimonio di chi insegna. È il saper far emergere la “verità” dall’altro, non metterla dentro, farla trovare al discente ponendogli domande e poi ancora domande senza dare risposte.
È questa la scuola che vorrei vedere partire quest’anno, la scuola del dubbio, quella che dovrebbe cominciare col chiedere ai ragazzi perché la violenza dei coetanei, perché lo stupro delle donne, perchè Palermo e Caivano. Vorrei una scuola che insegni a fare domande e accetti le risposte degli allievi, soprattutto quelle emotive e dei sentimenti. Non solo delle competenze che come adulti abbiamo deciso debbano avere.