Solo qualche giorno fa si è celebrata la giornata mondiale della salute mentale, la cui attenzione anche quest’anno è stata rivolta al disagio psicologico in adolescenza.
I dati sulla condizione giovanile sono preoccupanti e riferiscono che tra i 14 e i 19 anni 1 adolescente su 4 soffre di depressione, 1 su 3 ha pensieri di suicidio e 1 su 10 lo ha tentato.
Il quadro della sofferenza così interessa il 30% della popolazione giovanile e potrebbe essere un dato sottostimato.
Siamo soliti attribuire alla Pandemia l’aumento del disagio mentale tra i giovani, ma forse vanno atti dei distinguo. Sicuramente l’esperienza dell’isolamento sociale è stata traumatica a livello collettivo, ma può essere eccessivo per spiegare la sofferenza giovanile di questa generazione. Viviamo il tempo della complessità, dove i significati sono vari e spesso espressione di una realtà liquida.
È necessario far riferimento ad altre concause come quelle che rimandano a vissuti di esperienze infantili avverse o difficili. Pensiamo alle realtà evolutive in cui precocemente i bambini vengono chiamati a trovare un adattamento a un ambiente familiare conflittuale, fatto di relazioni contorte e incoerenti o di rapporti negligenti, in cui mancano i riferimenti essenziali o dove domina un’avvilente povertà relazionale e educativa.
Il carico di stress che si genera è elevato e in termini biologici si traduce in una serie di risposte neurofisiologiche che vanno a impattare il cervello nella fase della vita, l’infanzia, in cui questo organo è estremamente plastico e sensibile, e struturano risposte adatte alle emergenze e alla sopravvivenza in condizioni di pericolo.
Il che significa che quando un bambino vive in casa e al di fuori di essa esperienze forti di conflitto o di violenza e di esclusione tra i pari (bullismo), incontra condizioni acute di stress che gli hanno “insegnato” come sopravvivere, ma che nella vita adulta o già in adolescenza, costituiscono un fattore di rischio perché lo rendono fragile e instabile, da un punto di vista psicologico.
Sappiamo che l’essere esposti precocemente a situazioni di pericolo, mette in moto un sistema di controllo emotivo e uno stato di allarme costante e che nei passaggi nevralgici della fase adolescenziale, aumenta il rischio di sviluppo di psicopatologie.
Se poi manca l’immediata “presa in carico” della sofferenza da parte di un adulto di riferimento perché distratto o incapace di cogliere i sintomi del malessere, la crescita diventa difficile, problematica e mostra anticipatamente patologie come la depressione e l’ansia che un tempo si registravano in età adulta.
Al cervello servono più di 20 anni perché completi la sua evoluzione e soprattutto per quanto concerne le aree che presiedono al controllo emotivo, mentre il fenomeno dell’adolescenza lunga è sempre più esteso in quanto mancano certezze sul futuro e adulti capaci di trasmettere sicurezza.
Mancano le attenzioni ai segnali dello sviluppo e ai sintomi precoci di un disagio fase-specifico, e l’adolescenza esposta a situazioni fortemente stressogene, reagisce come può, soprattutto con impulsività. Spesso da sola e inascoltata.
Quando urla e si mostra, fa vedere tutta la sofferenza che dilaga e a volte è già troppo tardi.