Tempo di feste e tempo di regali. O di doni? Non è un a domanda retorica perché le due parole non sono equivalenti né sinonimi. Hanno origini e etimologia diversa.
All’origine “regalare”, termine derivato da “regale”, indicava l’offerta che si doveva al re. E ancora oggi questa parola contiene l’allusione al “riconoscimento” perché si regala qualcosa a qualcuno e se ne “riconosce” il valore o l’importanza per quello che è o per ciò che ha fatto.
Le convenzioni sociali hanno definito l’usanza dei regali in ricorrenze specifiche, compleanni, anniversari o feste comandate come il Natale che il consumismo natalizio ha trasformato in una corsa ai pacchi infiocchettati. Così a volte l’atto del regalare è diventato un obbligo teso a mostrare con segni visibili il pensiero “regale” della propria riconoscenza. Non di rado può servire agli adulti per compensare i sentimenti di colpa che attraversano quei genitori carenti di attenzione e di tempo per i figli. In questo caso di solito conta il valore materiale, la forma del regalo e lo stupore che produce. Meno il contenuto, spesso un mero oggetto che non contiene emozioni né trasmette sentimenti.
In qualche caso il regalo vuole comunicare all’omaggiato l’attesa di un trattamento particolare che si desidera per il futuro, oppure rappresenta un “pro-memoria” della nostra disponibilità e devozione. Allora il gesto è collegato al “do ut des”, al dare per ricevere, che è una specie di partita doppia dove è sottinteso il desiderio di reciprocità.
Differente invece è il dono che non è connesso ad alcun utilitarismo. L’etimo della parola ricorda che è “ciò che si dà o si riceve senza nulla in cambio”. Non ha valore economico, ma piuttosto simbolico. Non serve come riconoscimento di qualcuno e per qualcosa, ma sovente è solo un “presente”, un indicatore di presenza, il segno che permette a chi riceve di capire che il donatore c’è e dà affidamento.
Anche quando il dono è un oggetto materiale con un valore concreto, quello che conta è la comunicazione allusiva che viene inviata al destinatario. Quella che sottolinea il legame esistente, più che la tipologia del rapporto. Non appartiene solo alle ricorrenze, ma esprime il piacere di comunicare in qualsiasi momento il sentimento. È connesso con l’essere più che con l’avere ed è impastato di relazione e di scambio affettivo. Narra, al di fuori delle convenzioni, ciò che proviamo per l’altro, sia esso amore, affetto, amicizia o stima.
A partire dal dono dei doni, il dono della vita, ogni gesto autentico di donazione è testimonianza affettiva che sviluppa legami e interazioni interpersonali. Dice Enzo Bianchi, che il dono “accende una relazione non generata dall’utilitarismo”. Il dono è cura ed energia che serve per vivere e crescere. È nutrimento e testimonianza di attenzione ma anche di presenza senza la quale non ci potrebbe essere la relazione di attaccamento, che è il versante fondamentale nel processo di individuazione attraverso il quale un genitore trasmette ai figli sicurezza, fiducia e autonomia. E poi il dono è anche riconciliazione quando diventa per-dono.
Allora fare doni è diverso dal fare regali. Per questi ultimi ciò che serve di più è un budget. Per i doni invece c’è bisogno di tempo, sintonia con l’altro, partecipazione affettiva e creatività.