Riconciliazione. La possibile strada per la pace
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Riconciliazione è parola necessaria per uscire dall’umana ferocia. È la condizione senza la quale non può accadere alcun rinnovamento perché è l’avvicinamento degli opposti. È una strada possibile per la pace.

Nelle Ecclesiaste si recita: “C’è un tempo per la guerra e un tempo per la pace”. Come dire che ai giorni dell’odio e della distruzione seguono quelli della vita e della ripresa. A patto che si passi per la riconciliazione.
C’è un tempo per tutto, è vero, ma per mutare il destino e trasformare il male non bastano solamente le intenzioni e men che meno si arresta la guerra perché si fanno tacere le armi.
Il tempo indefinibile del conflitto umano non appartiene solamente alle strategie belliche, ma è prima di tutto interno alle menti.

È la guerra degli animi, ben più profonda, che precede le bombe e le distruzioni e porta diritto a quella minaccia totale di devastazione nucleare. Sono prima di tutto le menti in conflitto che hanno bisogno di una riconciliazione capace di andare oltre le dichiarazioni di intenti e il “cessate il fuoco”.

Solo dopo la riconciliazione dell’anima trova significato la parola “pace”. Solo con la pacificazione delle parti profonde della psiche è possibile contenere i tratti della violenza, quelli dell’odio, la rabbia e la rivalsa dei gesti. Perché scriveva Freud ad Einstein “gli impulsi primitivi, selvaggi e malvagi dell’umanità continuano ad esistere, sebbene allo stato represso, nell’inconscio degli individui” (Sulla guerra e sulla pace, Ed. La città del sole).

Alle menti in conflitto servono reali ed efficaci strumenti di pacificazione che, se non annullano ogni tratto dell’aggressività umana, possono mobilitare le risorse per la riconciliazione. Ma prima di tutto, forse anche prima delle marce, serve pensare a una precoce educazione alla gestione dei conflitti. È la condizione senza la quale la pace non può diventare duratura e nemmeno possibile ogni necessaria ricostruzione individuale e collettiva.

La psicologia ha sperimentato da tempo la possibilità che hanno gli individui di imparare a gestire la violenza delle relazioni sviluppando processi di negoziazione. La mediazione familiare con la coppia che si separa, dimostra come si può trasformare quell’energia distruttiva in risorsa per entrambe le parti in causa.

È il coraggio di mediare, scrivono Fulvio Scaparro e Chiara Vendramini, (Pacificare le relazioni familiari. Ed. Erickson) quello che serve per ricostruire nuovi equilibri, interiori prima di tutto, basati “sul confronto e sulla disponibilità al chiarimento, all’intesa.”

È quella dimensione che attiva nei genitori in conflitto la capacità di gestire i territori comuni della relazione e della cura dei figli.
Se vale per la coppia, può valere per la collettività, ma ha senso solo con la riconciliazione degli animi. Quella che riconosce la sofferenza reciproca e il dolore, che sostituisce alle accuse il sentimento delle responsabilità di ciascuno. Non è memoria negata della violenza passata, ma la riconciliazione è spazio per la costruzione critica del presente.

È l’uscita dal tunnel di una visione paranoica per assumere una prospettiva empatica e andare oltre il dualismo perverso del “con me o contro di me”.

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