Il 20 novembre è morta l’attivista argentina Hebe Pastor de Bonafini, una delle più note promotrici della protesta delle Madres de Plaza de Mayo. Per un paio di giorni è tornata un po’ di attenzione sul movimento pacifico di resistenza, nato nel 1977, per denunciare la durissima repressione del regime dittatoriale argentino contro gli oppositori politici.
I lettori più giovani di questi ‘Appunti’ non hanno forse conoscenza di questa straordinaria prova di coraggio che dovrebbe essere ricordata da tutti noi come esempio di lotta nonviolenta contro gli abusi del potere. Li invito a trovare in Rete la testimonianza di quanto avvenuto e avviene tuttora in Plaza de Mayo a Buenos Aires grazie a Las Madres o Las Locas, le pazze, come le chiamava con disprezzo il regime. Cercando in Rete si troverà facilmente una ricostruzione delle vicende che qui posso riportare solo in piccola parte:
“ Il movimento è nato dai tentativi da parte di varie madri argentine di ritrovare i propri figli «scomparsi» durante la «guerra sporca» argentina degli anni 1976-1983, periodo in cui il regime militare ha sequestrato, torturato e ucciso migliaia di oppositori politici, sottraendo i figli dei prigionieri e cancellando ogni traccia delle sue vittime. Le Madri, per lo più casalinghe apolitiche, sono state le uniche a osare protestare contro l’esercito all’apice della dittatura; dopo la caduta del regime, sono state ancora loro a chiedere processi per i militari coinvolti nella repressione, centinaia dei quali sono stati giudicati colpevoli. Il movimento è nato il 30 aprile 1977, quando quattordici madri hanno inscenato la prima protesta nella Plaza de Mayo davanti alla Casa Rosada, il palazzo presidenziale. Nonostante fosse loro intimato di disperdersi, alcune madri coraggiose hanno iniziato a camminare lentamente, tenendosi a braccetto, intorno alla piazza. Ogni settimana altre madri si univano alle proteste, mentre attivisti di sinistra e persone accusate di collaborare con loro continuavano a «sparire». Le Madri, con gli emblematici fazzoletti bianchi annodati sul capo, le foto e i nomi dei figli scomparsi e gli appelli per riaverli, iniziavano a suscitare l’attenzione internazionale, così il regime ha fatto uccidere tre delle fondatrici nel tentativo di zittire la loro voce. Nel dicembre 1977 Azucena Villaflor de Vincenti, Mary Ponce de Bianco ed Esther Ballestrino de Careaga sono state sequestrate, torturate e uccise, spinte giù da un aeroplano. Altre esponenti delle Madri sono state picchiate e detenute, ma hanno continuato la loro resistenza pacifica. Quando nel 1983 gli abusi di massa contro i diritti umani, lo sfacelo dell’economia e la sconfitta nella guerra delle Falkland hanno portato al crollo del regime militare, l’impegno delle Madri si è concentrato sulla richiesta di ottenere giustizia. […]”.
Molti anni fa, quando ancora non si era attenuato l’interesse internazionale per queste donne che si ostinavano a non chinare la testa chiedendo giustizia, la punizione dei responsabili e la possibilità di ritrovare i corpi dei loro cari, ho scritto alcuni versi e li feci leggere a Lella Costa e a Ottavia Piccolo. In occasioni diverse, entrambe le attrici li lessero in pubblico arricchendo le mie parole con l’appassionata partecipazione di cui sono capaci artiste di questo calibro.
Oggi vi riporto questi versi con l’invito a non dimenticare che quanto avvenuto anni fa in Argentina riguarda tutti noi perché, come ha scritto Popper, “il prezzo della libertà è l’eterna vigilanza”.
Festa del perdono
(lamento di una madre di Plaza de Mayo)
Che io non sia più viva
quando i figli
di chi vi ha preso il padre,
forse sinceri,
forse spaventati
o soltanto abili
a fiutare il vento,
dagli scranni rossi di velluto
di chiese, tribunali e parlamento,
s’alzeranno
compunti
contriti
compresi
della solennità dell’ora
e con volto severo, telegenico,
solleveranno occhi umidi al cielo
e piegando il ginocchio
davanti a voi, figli miei,
chiederanno perdono
per ciò che i loro padri hanno fatto al vostro.
Cerimonia sentita
preparata con cura,
talk show e tavole rotonde,
sondaggi, analisi,
nobili appelli, accorate preghiere.
E per non guastar la festa
dite che sì,
perdonate, perdonate, perdonate
perché il passato è passato
e oggi siamo diversi
mai più simili orrori
l’odio non paga
si deve guardare avanti
e marciare uniti verso qualcosa.
Un abbraccio,
un altro ancora,
finché l’ultimo cameraman
non avrà spento
l’ultima lampada.
E poi via, ognuno al suo posto
perché la vita continua
e la morte no.
Che io non sia più viva
nel giorno del perdono senza giustizia
quando,
nella folla intenta a girar pagina,
nel vostro viso vedrò,
figli miei,
l’amore mio d’un tempo.