Nato senza camicia. Una triste storia vera
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di V. M.

Storia raccolta dal nostro collaboratore, il giornalista Maurizio Panizza

La conclusione

L’addio all’istituto e l’entrata nella società

Via via, col passare del tempo, l’insofferenza verso il collegio mi era diventata insopportabile, a maggior ragione dopo il tentato reclutamento nelle file dei seminaristi da parte dei preti che gestivano la struttura. Quindi, non ricordo bene, ma credo che grazie alla firma di mia madre mi fu possibile varcare quella porta chiusa ermeticamente per anni e uscire finalmente da quelle mura opprimenti. Era il 1972 e avevo allora 14 anni

Terminato dunque il periodo all’Istituto di S. Ilario di Rovereto, andai a vivere a Trento, accolto da una dolcissima vecchietta che già subaffittava una stanza a nostra madre, la quale, buona donna, si fece carico di dare un tetto anche a noi. Se esistono divinità superiori, spero che la abbiano in gloria poiché quella signora la merita per davvero.

Lì incontrai dopo parecchi anni il mio fratello maggiore che, terminati gli studi superiori, da poco aveva cominciato a lavorare. Anch’io poco dopo trovai un lavoro come apprendista. Dopo aver trovato nel frattempo un appartamento in affitto in centro città, dopo due anni a noi due si  ricongiunse  pure Franco, il più giovane dei tre, il quale cominciò un biennio alle superiori, ma abbandonò poco dopo.

Devo dire comunque che come fratelli abbiamo sempre avuto un buon rapporto, che si protrae tuttora. Il problema più grave, semmai, era la convivenza con nostra madre, persona con un carattere possessivo e problematico, ma non voglio parlare di lei che non c’è più, poiché –  forse ingiustamente – l’ho allontanata dai miei ricordi.

In seguito le nostre esperienze lavorative hanno portato le strade di noi fratelli a dividerci, pur restando sempre in contatto.

Per quanto riguarda me, curioso della vita e grande divoratore di libri, ho vissuto numerose esperienze come volontario seguendo per tre anni, assieme ad un caro amico, i non vedenti nel loro ambito sportivo, con i quali nacque un buon rapporto di amicizia, accompagnandoli negli allenamenti e nelle trasferte dei tornei sportivi nazionali e internazionali. In seguito sono stato anche volontario della Croce Rossa e del Soccorso Alpino.

Insomma, utilizzando una felice metafora offertami da un cortese lettore, posso dire che in quegli anni presi ago, stoffa, filo e bottoni e piano piano quella camicia che non avevo ricevuto in dono alla nascita, me la confezionai  da solo. E ci riuscii.

Anni dopo, in seguito a una mia scelta professionale, lasciai la città per andare a lavorare in montagna dove incontrai la mia attuale compagna e moglie, dalla quale ho avuto due splendidi figli, ora in età adulta, di cui vado fiero perché portatori di valori importanti e ben voluti dalla comunità.

Come già descritto nel racconto, ciò che mi ha permesso di riscattarmi dai lunghi anni passati in Istituto è stata la fortuna di aver incontrato sul mio cammino buone persone che mi hanno aiutato molto, senza alcun interesse di ritorno, ma sempre e solo per il fatto di essere persone generose.

Questo ha influito notevolmente sul mio “addolcimento” verso la vita ed è sicuramente ciò che mi ha reso una persona fortunata, di certo migliore di come avrei potuto essere.

Posso comunque affermare, senza ombra di dubbio, che quello che non ho avuto in gioventù l’ho trovato nel seguito della vita grazie agli incontri con queste ottime persone, ma soprattutto alla fortuna di avere incontrato mia moglie, donna di alti valori: bontà, altruismo, empatia, simpatia, sentimenti oggi inarrivabili ai più.

Grazie infine a Maurizio Panizza che ha raccolto le mie esperienze e al giornale IOVIVOBENE. it che le ha ospitate, nonché un ringraziamento particolare a tutti quei lettori che hanno seguito con emozione ogni puntata del racconto manifestando grande affetto e simpatia nei miei confronti.

    V. M.

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