Viaggiare per vivere (bene). Il fascino dell’Italia
Share :

Io sento di stare bene quando viaggio, anzi, quando comincio a pensare di fare un viaggio, quando scelgo la meta e cerco di capire cosa vedere e quanto fermarmi, quando recupero i libri di storia e di storia dell’arte del Liceo, quando chiedo consigli a chi già ha visitato certi luoghi.

Poi, prenoto aereo o treno o nave, albergo o b&b, preparo i bagagli…e con lo zaino appesantito da guide e mappe, finalmente parto.

Sicuramente i viaggiatori del passato, non avendo a disposizione Internet o Wikipedia, si affidavano ai racconti di chi li aveva preceduti, o ai dipinti degli artisti e ai diari in cui si trovavano indicazioni precise, ma anche emozioni, ricordi, esperienze.

C’è un libro, pubblicato da qualche mese, (La Grande Incantatrice – Il fascino dell’Italia per  viaggiatori di ogni tempo di Attilio Brilli, UTET – fornito di un ricco apparato iconografico) che ho letto con avidità, fin dalla prima pagina:  l’autore ci considera  <<svagati custodi di un tesoro inestimabile>> e sottolinea che <<malgrado tutto, all’Italia spetta ancora oggi il primato assoluto della bellezza>>.

Certo, a noi è possibile vedere tutto, in qualsiasi luogo si trovi, duplicato, ingrandito, in bianco e nero o a colori; lo si può fare stando comodamente seduti in poltrona…ma ben diverso è ciò che si gode con gli occhi, come testimoniano i tanti diari che sono stati scritti per fermare sulla carta lo stupore, la commozione, il sentimento che una statua, una collina dolce, un affresco regalano.

Esemplare a questo proposito è Through Italy with Car and Camera di Dan Fellows Platt, collezionista americano onnivoro, spinto da <<un interesse specifico per la pittura tre-quattrocentesca senese e quella umbra>> e forse anche dal desiderio di realizzare affari.

 Edith Warthon viaggia e scrive, esaltando l’uso dell’automobile che  regala <<il piacere del viaggio individuale, libero dai condizionamenti imposti dalle strade prigioniere della ferrovia>>.

In genere, i viaggiatori erano attirati dalle vestigia romane, dagli archi di trionfo come dalle monete, dalle Mirabilia urbis Romae. E proprio per proteggere questo patrimonio, nel 1733, il Papa Clemente XII fondò il Museo Capitolino.

Nel Medioevo, i pellegrini  viaggiavano per raggiungere i luoghi di culto; Erasmo da Rotterdam li considerò avventurieri, Philip Sidney li definì perdigiorno e vagabondi. Lo spirito del viaggiare lo individuò Francis Bacon che attribuì a questa esperienza una funzione formativa. Fu così che nacque il Grand Tour dell’Europa. Le città italiane esercitavano un grande fascino sugli stranieri: agli Uffizi di Firenze si andava per ammirare la bellezza dolente di Niobe e ci si scandalizzava per <<il carattere sessualmente provocante della Maddalena di palazzo Pitti>>; a Ravenna si era colpiti dalla gran quantità di sarcofaghi di pietra e di marmo (<<qui la morte ha una sua suggestione e una sua paradossale durata…sembra che nulla possa scomparire…Ravenna brucia di una luce interiore…>>); Vernon Lee respirava un’antica sacralità  nel tempietto longobardo di Cividale; Dante sembrava  accompagnare nelle strade e nelle piazze di Verona i viaggiatori che potevano immaginare l’Arena come l’ingresso dell’Inferno entrando nel tragico imbuto e Lord Byron scriveva che le arche scaligere <<rendono la contemplazione della morte meno terribile di quanto accade sotto le volte delle cripte sepolcrali>>.

Nel 1845, John Ruskin, affascinato dalla città di Lucca , <<quando poi le nubi non sono più soffuse di rosa [ va ]  presso il sepolcro di Ilaria del Carretto…morta molto giovane…giace su un semplice cuscino, con un cagnolino ai piedi…Impossibile esprimere a parole l’incomparabile leggiadria delle labbra e degli occhi chiusi…>>.

Brilli procede spedito in questa sua raffinata rassegna, ci parla dei monumenti equestri, del Gattamelata e del Colleoni, dei cavalli di San Marco, di Cosimo I e di suo figlio Ferdinando, né trascura le sante in estasi, come Santa Teresa e Santa Bibiana del Bernini, <<spasmodicamente espressive>>, Santa Cecilia e Sant’Agnese. A Napoli, è il Cristo velato posto al centro della Cappella Sansevero ad attirare i viaggiatori, a suscitare, come scrive Anna Jameson, <<un profondo senso di pena>>. Secondo Hippolyte Taine, <<gli occhi, i sensi e il sistema nervoso si turbano…la statua comunica un senso di superstizioso sgomento>>.

Per quanto riguarda la pittura, Brilli comincia con Piero della Francesca, <<uno dei pittori che vengono evocati più di frequente da narratori, saggisti, scienziati, filosofi>> che << annuncia la scoperta di un nuovo mondo…e, nel complesso di un nuovo sapere>> e prosegue con Botticelli la cui pittura appartiene – secondo i fratelli de Goncourt –  <<a quel primo Rinascimento soffuso di un’aura primitiva>> in cui essi colgono <<la singolare sublimazione dell’immagine femminile…le donne di Botticelli hanno corpi nei quali la materialità appare, per così dire, svuotata, smussata, raffinata dallo slancio dello spirito>>.

E’ Sydney Owenson, nota con lo pseudonimo di Lady Morgan a occuparsi del Cenacolo di Leonardo e a denunciare nel suo Italy  <<le politiche  dispotiche e reazionarie messe in atto in Italia con l’avvento della Restaurazione>> . Siamo nel 1820, il libro viene messo all’indice perché l’autrice ricorda che il Convento che ospitava il prezioso affresco di Leonardo fu trasformato in deposito di artiglieria dagli occupanti francesi.  Del prezioso, delicato e mal conservato affresco, troppo spesso anche mal restaurato, scrivono in tanti, tra i quali Charles Dickens.

E’ la volta poi di Raffaello, il cui Sposalizio della Vergine, trasferito da Città di Castello a Milano ed esposto a Brera consegna al visitatore <<un’amara sensazione di esilio e di insuperabile lontananza dalla luminosità delle colline umbre>>. A Brilli non sfugge, come i viaggiatori e le viaggiatrici del passato avevano sottolineato, il problema dello spostamento di opere dall’Italia alla Francia, o da Foligno ad esempio a Roma, come accadde anche alla Madonna di Foligno. E non manca di evidenziare che le dame aristocratiche in viaggio, a cui piacevano le Madonne di Raffaelo,  consideravano << una “femme du peuple”, volgare e dall’aria bisbetica>> la Fornarina. Anche le donne spesso nude di Tiziano turbano chi proviene dai severi Paesi del nord  e nota una <<sensualità…esplicita, tattile e calda>>, secondo il marchese De Sade.

Anche altre città italiane diventano meta dei grands tours: Volterra, <<ricca di monumenti insigni e di pregevoli dipinti…la più dura, segreta, chiusa >> come scrive Guido Piovene, Sansepolcro, Mantova, che Dickens trova <<stagnante>> a causa di chiese chiuse o trasformate in depositi <<per colpa di Napoleone, gli dicono>>, ma dove vede i dipinti di Giulio Romano, pur fraintendendo la sua vena antirinascimentale.

Anna Miller, viaggiatrice settecentesca intrepida e intelligente, ha manifestato <<un’ambigua, malcelata attrazione per le tele che grondano sangue e sofferenza>>, come nel XXI secolo accadrà alla pittrice inglese Jenny Saville che nelle sue tele palermitane appare ispirata da <<una  corporeità traboccante, sofferente e ossessiva, sospesa fra la sensualità, il dolore e la morte>> che ha trovato nelle opere di Caravaggio, Michelangelo e Bernini.

I tempi cambiano, gli intenditori vanno a Bologna, a Ferrara, a Cento, città del Guercino, ad Ancona, a Siena, a Pisa; nella pittura dei  fratelli Carracci, <<si coglie un senso del vero che è quello della vita per come la si conosce, la si gode e la si soffre>>, senso che i viaggiatori ritrovavano anche nelle opere del Domenichino; Salvator Rosa esercita un grande ascendente sui viaggiatori stranieri, come Vanvitelli, Guardi e Panini  che, conoscendo la passione degli stranieri per  Roma, dipinse la Galleria di vedute di Roma antica e la  Galleria di vedute di Roma moderna.

Ma l’Italia non è solo il luogo dell’arte, anche i paesaggi che spesso conservano tracce di antiche civiltà sono una fonte di attrazione: incantano le mura etrusche di Cortona, i cipressi e gli oliveti toscani, il lago Trasimeno, la piana di Canne, la Maremma e la Versilia, la foce del Tevere e i nuraghi sardi, Assisi e Perugia, la Verna e Bagnoregio…<<dovunque si vada, in Italia, si è sempre consapevoli delle influenze del passato, delle lontane, misteriose divinità del Mediterraneo aborigeno>> sosteneva D. H. Lawrence e confermano D’Annunzio, Campana, Gadda, Luzi, Manganelli e Ceronetti…

A Ercolano e Pompei, che si raggiungevano passando per Portici, Torre Annunziata, Torre del Greco, <<si rimane colpiti in maniera solenne dall’assenza di vita che della vita mantiene l’impronta>>, annotava nel 1858 Georges Henry Lewes, filosofo e critico teatrale inglese. Un riferimento alla “Ginestra” leopardiana è d’obbligo, mentre va ricordato che dalla seconda metà dell’ ‘800 nasce la raccolta di documenti fotografici, di cui è esempio l’azienda fiorentina degli Alinari. Allora, esisteva la fotografia d’arte, o lo scatto individuale – sostituto degli schizzi -.

Oggi, conclude Brilli, fotografare è un’abitudine scontata, la foto è un souvenir, l’oggetto è un’immagine stereotipata che accomuna le guglie del Duomo a Milano, il Vesuvio a Napoli, il ponte dei Sospiri a Venezia. Tutto ciò <<crea un senso di disagio in coloro che considerano il rapporto con la penisola un’avventura amorosa e intellettuale che richiede un protratto corteggiamento e uno svelamento mediato e graduale>>. A questo punto, il turismo di massa invade piazze e strade, i turisti <<fotografano con gesto meccanicamente iterativo…delegano alla fotografia quella acquisizione delle immagini che lo sguardo non è in grado di far proprie, di elaborare e di trattenere. La macchina fotografica o il cellulare diventano…un surrogato dell’occhio>>.

E il cuore dov’è? Per viverebene, il mio viaggio si sposta idealmente indietro di qualche secolo.

Attilio Brilli, La GRANDE INCANTATRICE – Il fascino dell’Italia per i viaggiatori di ogni tempo, Utet ed 2022, pp 300, € 28,00

Share :

Leave a Reply

Your email address will not be published.