Sono una donna adulta, una persona della terza età. Ho collezionato bambole in costume regionale o nazionale, italiane e straniere, da quando avevo 6 o 7 anni. La prima bambola me la regalò mia madre, tornando da un viaggio in Abruzzo. Io non la apprezzai particolarmente, era piccola, il viso di pezza come il corpo e l’abito…non aveva gli occhi azzurri luccicanti delle altre bambole con cui giocavo, che trattavo come bambine, che lavavo e pettinavo, che vestivo facendo muovere le loro braccia e le loro gambe. E se le mettevo distese, chiudevano gli occhi e dormivano.
La bambolina abruzzese trovò posto su uno scaffale, vicino ai libri, tra Pinocchio e Cuore.
Poi ne arrivarono altre, non in regalo, ma comprate da me con i miei primi risparmi: la Guardia Svizzera quando andai a Roma, una donnina di Chianciano quando accompagnai i genitori alle terme e così, di viaggio in viaggio, creai la mia collezione. Ne comprai una a Paestum, durante una gita scolastica; una a San Marino – anzi uno, perché era un soldatino – in viaggio con mamma e papà; una ad Assisi in compagnia dei miei cari zii; tante in Toscana quando mamma e papà vollero far conoscere Firenze, Pisa, Volterra e Siena a noi tre ragazzini. La bambola di Firenze aveva in testa una grande paglia, quella di Pisa portava un grembiulino su cui era stampata la torre pendente, quella di Volterra aveva una piccola anfora appesa al braccio, quella di Siena indossava la divisa di una contrada. Era il 1962 e sulle bancarelle davanti ai monumenti importanti si vendevano i souvenir: per le bambine queste bambole – le più costose erano le Lenci – , per i maschietti i modellini della torre di Pisa et similia.
Oggi, viaggiando in lungo e in largo, di bamboline neanche l’ombra: soltanto magneti e palle per l’albero di Natale.
Io le cercavo, dovunque andassi: a Genova la trovai nel porto, dove eravamo arrivati con una nave da crociera che ci avrebbe portati in Spagna; a Palermo, durante un viaggio di famiglia, con genitori, fratelli, zii e cugini. I maschi volevano vedere la Targa Florio, come un anno dopo a Montecarlo. Anche nel Principato comprai la bambola con una gonna come la bandiera, bianca e rossa. Un anno in cui ne comprai parecchie fu il 1972: aspettavo il mio primo figlio, mio marito fu mandato in Veneto per lavoro ed io, invece di pensare a capi del corredino, a Venezia comprai un gondoliere, a Verona i bellissimi Lenci Giulietta e Romeo, a Padova una pupetta col solito grembiulino su cui era stampato il Santuario dedicato a S.Antonio; a Sirmione e a Bardolino due bamboline del Garda.
Negli anni successivi, trovavo le bambole, ma non erano belle e ben vestite come le precedenti, erano diventate un oggetto commerciale, con viso e arti di una brutta plastica e vestiti poco curati. Però ho continuato a comprarle, scegliendo accuratamente le più belle, e anche a riceverne in regalo. Quelle che arrivavano dall’estero, se la loro origine era “cittadina”, somigliavano più o meno alle italiane. Quelle che provenivano dal Brasile avevano vestiti multicolori a volants e tanta frutta in testa, ne comprai in viaggio di nozze e fu la prima ospite di colore; poi sono arrivate le cubane (di stoffa o di terracotta); una ecuadoregna portata da una mia studentessa; una guatemalteca, pescata in un pittoresco mercatino; le uruguayane, particolarmente care a mia madre, nata a Montevideo; una messicana con sombrero; una francese dei Pirenei con il fuso fra le mani; una portoghese con tante gonne sovrapposte…e così via! Con la caduta del muro di Berlino, il mio amore per i viaggi mi ha portata in Russia, in Lettonia, in Cechia, in Polonia, in Ungheria e dovunque ho comprato le amate bambole e le ho custodite gelosamente, sperando invano di avere una figlia o una nipotina. La collezione è cresciuta abbastanza velocemente, mi è stata chiesta da alcuni Musei del Giocattolo o della Bambola; per ora ho deciso di regalarne una parte alla città di Lagonegro, dove dicono sia stata sepolta la Gioconda: in un palazzo signorile è stata allestita una Mostra, le mie bambole sono in buona compagnia, con un gruppo di Barbie e un altro di Winx, con bambole avviluppate in sete e ricami, bambole che una volta si sistemavano al centro del letto matrimoniale come augurio di fertilità.
Le ho salutate con un po’ di malinconia, spero che tante persone le vedano, le apprezzino e, perché no, imparino anche un po’ di geografia. Mi fa viverebene il pensiero che a casa mi aspettano le altre che rimarranno ancora un po’ a farmi compagnia. Poi, anche loro partiranno, per Lagonegro se davvero nascerà il I° Museo della Bambola in Basilicata, o per altri luoghi dove potranno essere esposte e ammirate.